Cobas presentazione-1

Un nuovo modello di autorganizzazione sociale: dal rifiuto della delega alla costruzione dei movimenti di lotta contro la globalizzazione capitalista

Preambolo

È in corso ormai da diversi anni, su scala mondiale, una rinnovata offensiva delle forze del capitale volte a ridefinire, in un mondo in rapida trasformazione, le forme del comando capitalistico su popoli e territori. Nel ricco occidente, questa offensiva si manifesta soprattutto in termini di una ridefinizione della forma del dominio sulla produzione (compressione salariale, precarizzazione delle posizioni lavorative, disoccupazione di massa) e su una rinnovata spinta alla mercificazione di ogni ambito della vita sociale (cancellazione del welfare, privatizzazioni, mercificazione di ogni cosa, fino al tempo libero). Nei paesi in via di sviluppo tali processi si manifestano attraverso lo sfruttamento predatorio di fonti energetiche (petrolio e metano), materie prime, forza lavoro non sindacalizzata priva dei più elementari diritti. Qui il capitale assume il più barbarico volto dell’imposizione violenta, della dittatura, della guerra. Contro questo stato di cose, un nuovo movimento è nato e si è diffuso ovunque nel mondo. Ricco, composito, vitale, il nuovo movimento ha dato espressione negli ultimi anni alle istanze più diverse. La Confederazione Cobas fa parte integrante di questo movimento fin dalla sua nascita. Scopo di queste brevi note è far conoscere le posizioni e la realtà della Confederazione Cobas a tutte le situazioni di movimento non italiane.

Globalizzazione e Nuovo ordine mondiale

La fine del mondo bipolare, dominato dalle due grandi superpotenze, ha lasciato mano libera alla creazione di un nuovo ordine mondiale, basato sul monopolio della forza militare degli USA e su una politica di stampo rigidamente neoliberista, perseguita dai governi delle più forti nazioni capitalistiche, a servizio delle grandi corporations multinazionali. Attraverso organismi transnazionali come il FMI, la BM, il WTO, il G8, la NATO, i governi dei paesi più potenti, sotto l’egemonia degli USA, impongono i loro diktat ai lavoratori e ai popoli della terra in termini di privatizzazioni, ristrutturazioni produttive, licenziamenti, che riducono in miseria intere popolazioni e aumentano le diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri. Chiamiamo globalizzazione capitalistica quel processo, solo in parte governato dagli organismi sovranazionali, attraverso il quale la mercificazione di ogni aspetto della vita dei popoli si impone ai quattro angoli della terra, fino a sussumere non solo gli ambiti dell'attività lavorativa, ma tutti i gangli della vita umana e sociale, dal cibo al tempo libero, dall'acqua all'aria che respiriamo.

In questo scenario, la guerra è divenuta un elemento centrale, sia per il controllo delle risorse strategiche (fonti energetiche e riserve idriche) e di aree geopolitiche fondamentali nella strategia del dominio imperialista USA; sia come estremo tentativo di allontanare lo spettro della recessione, che per circa un anno ha attanagliato gli Usa e si è estesa anche in Europa, attraverso l'aumento esponenziale delle spese militari.

Il contesto europeo

Le cose non vanno meglio in Europa. Dopo l'entrata in vigore dell'euro, costata lacrime e sangue ai lavoratori, le previsioni di crescita per il 2002 sono negative, mentre lo stesso patto di stabilità rischia di saltare di fronte alla necessità di fronteggiare i danni delle catastrofiche alluvioni di agosto. La stessa macchina che produce inquinamento e sconvolgimenti climatici crea quindi le condizioni della propria insostenibilità. Intanto la disoccupazione cresce, la spesa pubblica continua ad essere tagliata, il welfare viene fatto a pezzi, le privatizzazioni sono spinte al massimo per aprire nuove possibilità di mercato alle imprese. Negli ultimi vertici europei le politiche liberiste si sono imposte con ulteriore forza e sono state unanimemente condivise dai diversi governi. Muore così, sottolineata dall’appoggio entusiastico alla guerra della NATO in Kosovo nel 1999, anche ogni illusione su presunte terze vie sponsorizzate dalla sinistra neoliberal dei vari Jospin, Schroeder, Prodi-D'Alema-Amato e Tony Blair. Mentre il sindacato europeo, mortificato da burocrazie che hanno veicolato presso i lavoratori la necessità dei sacrifici per allineare i singoli paesi ai parametri del trattato di Maastricht, potrà solo contrattare a valle gli effetti settoriali derivanti dalle ristrutturazioni centrali del mercato del lavoro, con margini di manovra pressoché nulli.

Il governo Berlusconi in Italia

Il governo in Italia è in mano a una coalizione di centro destra che include i neofascisti di Alleanza Nazionale, la xenofoba lega Nord e Forza Italia, il partito-azienda di Silvio Berlusconi, a capo di uno dei più vasti imperi economici in Italia. Sotto questo governo sono proseguiti, accelerandosi, i processi di ristrutturazione produttiva, di finanziarizzazione del capitale, di deregolamentazione del mercato del lavoro. Su tale fronte in particolare il governo Berlusconi ha scatenato un attacco senza precedenti, che va dritto al cuore delle conquiste più importanti del movimento dei lavoratori in Italia negli ultimi 40 anni. La posta in gioco è la possibilità da parte delle imprese di licenziare i lavoratori anche senza giusto motivo (art. 18 dello Statuto dei lavoratori), l’introduzione di nuova flessibilità nel mercato del lavoro, il ridimensionamento del sistema previdenziale e la sua tendenziale privatizzazione, la cancellazione della scuola e della sanità pubbliche, la riforma del fisco che toglie ai poveri per dare ai ricchi.

Le malefatte dei governi di centro sinistra

Così facendo in realtà Berlusconi continua il lavoro che i precedenti governi di centrosinistra avevano già intrapreso: politiche di compressione dei salari reali; controriforme previdenziali che hanno allungato l'età pensionabile e ridotto in 10 anni del 30-40% gli importi pensionistici; l'introduzione di nuove forme di flessibilità e precarietà nel lavoro; varo della legge di parità tra scuola pubblica e privata, sulla cui base la scuola pubblica si vede sottratte le già scarse risorse finanziarie a tutto vantaggio della scuola privata; aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e politiche spinte di esternalizzazione (outsourcing) di servizi pubblici di ogni tipo, qualora questi producano profitti; la realizzazione di un piano di privatizzazioni fra i più massicci in Europa (energia, ferrovie, telecomunicazioni, poste, aziende pubbliche ). Il quadro si completa con un peggioramento della già liberticida legge che regola il diritto di sciopero e con la legge sull’immigrazione che introduce i centri di permanenza temporanea e il sistema delle quote d'accesso.

Il giro di vite di Berlusconi

Il governo Berlusconi si caratterizza inoltre per la rivalutazione del fascismo e per una posizione revisionista sulla resistenza, condotte in varie forme; per un orripilante carico di razzismo dimostrato nell’affrontare le questioni dell'immigrazione (la nuova legge prevede persino che le navi da guerra possano intercettare le imbarcazioni degli immigrati); smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale e privatizzazione delle strutture sanitarie; dallo scontro senza precedenti sulla amministrazione della giustizia alla costruzione di leggi ad hoc per “sistemare” i numerosi processi in cui Berlusconi e il suo entourage sono imputati; l'occupazione quasi totale dell'informazione televisiva.

Sul fronte sindacale, il governo Berlusconi si distingue inoltre per un attacco virulento ai sindacati, e in special modo contro la Cgil, maggiore sindacato concertativo italiano. Nel luglio 2002 si è persino verificato che i carabinieri chiedessero, con inaudito ed illegale atto intimidatorio, di conoscere le liste dei nomi dei lavoratori iscritti a tale sindacato in diversi luoghi di lavoro. Nel frattempo il governo è riuscito a raggiungere un accordo separato con le altre due grandi centrali sindacali, Cisl e Uil, entrambe membri della CES. Malgrado gli scioperi unitari dei mesi scorsi, Cisl e Uil hanno rotto l’unità sindacale e diviso il fronte dei lavoratori, accettando alcune delle richieste più gravi del governo, inclusa quella della sospensione dell’art. 18.

Nel disegno politico di Berlusconi, il sindacato del futuro dovrebbe limitarsi a svolgere un ruolo parziale e marginale nella contrattazione su scala regionale e locale sulle condizioni d'impiego della forza lavoro, nella partecipazione alla gestione degli ammortizzatori sociali, degli arbitrati, dei fondi pensione, della formazione. Il sindacato dovrebbe quindi ridursi a una funzione di mera erogazione di servizi a tutela di una classe lavoratrice quanto mai frammentata e priva di diritti.

L’operato delle centrali sindacali concertative: Cgil, Cisl e Uil

Non bisogna comunque pensare che Berlusconi sia come l’orco cattivo che punisce l’ignaro e buono sindacato dei lavoratori. Molte delle condizioni politiche e istituzionali che oggi consentono l’affondo di Berlusconi sono state determinate dall’operato delle stesse Cgil, Cisl e Uil nel corso degli ultimi anni attraverso: la firma di contratti di lavoro che esaltano flessibilità e meritocrazia e penalizzano il salario; l’accettazione del depotenziamento del sistema pensionistico pubblico con l’introduzione dei fondi pensione, che li vede particolarmente interessati quali futuri gestori, assieme alle aziende, dei fondi chiusi nel settore privato ed in futuro anche in quello pubblico; l’atteggiamento favorevole all’introduzione di nuove forme di flessibilità nel mercato del lavoro; la condivisione del percorso di aziendalizzazione della scuola e della sanità pubbliche e più in generale dei processi di privatizzazione della Pubblica Amministrazione.

Il ruolo dei Cobas

Quanto avviene in Italia è già avvenuto o sta avvenendo in tutta Europa. In uno scenario del genere, i lavoratori e le lavoratrici non possono rinchiudersi in una battaglia difensiva all'interno del proprio posto di lavoro, stabile o precario che sia, né all’interno di un settore o una categoria ritenuti “al sicuro”. Una simile battaglia, alle condizioni attuali, sarebbe persa in partenza. L’offesniva del capitale può essere fronteggiata efficacemente solo da un fronte che comprenda oggi più che mai l'intero mondo del lavoro dipendente, in tutte le sue articolazioni. La sua costruzione avviene a partire dal fondamentale terreno sindacale, per allargarsi necessariamente al più generale terreno politico e contrastare così le dinamiche aggressive del capitale che innervano tutti i gangli delle attività umane. Un atteggiamento coerentemente anticapitalista da parte dell'insieme del lavoro dipendente non è affatto scontato. Da qui l'indispensabilità di un processo di autorganizzazione dal basso, che si estenda e si radichi a livello di massa in tutti i comparti del lavoro dipendente, pubblico e privato, “stabile” e precario, manuale e intellettuale, comunque sottoposto al comando capitalistico: questo è l'obiettivo cui mira la Confederazione Cobas.

Chi sono i COBAS – Comitati di base

La nostra organizzazione raccoglie l’eredità dell’insorgenza spontanea dei lavoratori di fabbrica degli anni ’60, dei lavoratori dei servizi, dei precari e dei disoccupati negli anni ’70 e ’80, della contestazione di massa ai sindacati neocorporativi all’inizio degli anni ’90, quando i primi Cobas di categoria vengono costituiti. La Confederazione Cobas nasce nel marzo '99 dalla fusione tra i Cobas della Scuola e il Coordinamento Nazionale Cobas, che già raggruppava le categorie dei lavoratori della sanità, del pubblico impiego, dell’energia, delle telecomunicazioni.

La scelta di dare vita ad un sindacato autorganizzato – in netta contrapposizione con le centrali sindacali tradizionali – scaturisce dal rifiuto netto delle loro politiche di concertazione che raggiungono il loro apice proprio sotto i governi di centro sinistra. Il ruolo di questi sindacati di stato nella cogestione delle politiche di flessibilizzazione e di contenimento salariale assume infatti in questa stagione una importanza determinante.

Molto spesso all’estero il nostro modello viene considerato una anomalia tutta italiana, estendibile al più anche alla Francia. In realtà la scelta di organizzarci in alternativa - e quindi fuori dai sindacati concertativi - nasce proprio dalla incompatibilità del nostro modo di concepire la lotta politico - sindacale con quello dei sindacati tradizionali.

I sindacati di stato hanno sostituito al conflitto sociale la concertazione in cambio delle risorse economiche elargite con vari istituti dalla controparte (patronati, centri assistenza fiscale, fondi previdenziali) per sostenere un esercito sempre maggiore di funzionari e di burocrati. Non stupisce in questo quadro il ricorso in queste centrali sindacali a maggioranze blindate, ultra decisioniste,

che penalizzano qualsiasi forma di dissenso o di minoranza interna organizzata.

Da questo la scelta obbligata – per poter difendere i diritti dei lavoratori – di organizzarsi fuori da queste consorterie, autorganizzandosi appunto a partire dal rifiuto del sindacato di mestiere.

La Confederazione Cobas è un soggetto politico-sindacale-culturale. La ricomposizione tra il livello politico e quello sindacale è un principio fondamentale, basato sulla consapevolezza che il soggetto sociale non potrà mai avere coscienza dell'appartenenza alla sua classe se, a partire dalle contraddizioni materiali, non sviluppa la comprensione della sua interattività nel contesto generale. Scindere il conflitto sindacale da quello politico, significa assoggettare il conflitto capitale-lavoro a progetti politici particolari o all'accettazione dello stato di cose esistente. È quetso il significato del nostro essere soggetto politico e sindacale, cioè sociale, che agisce complessivamente, nella tensione alla ricomposizione della lotta economica con quella politica. Perciò la nostra azione nei posti di lavoro, che costituiscono il luogo prioritario del nostro intervento, è tesa a disvelare la natura del conflitto di classe intrinseco anche nel rivendicazionismo sindacale.

La Confederazione Cobas si fonda sul principio dell'autorganizzazione e della lotta per il superamento della cultura della delega. Essa ha caratterizzato a lungo la cultura delle organizzazioni sindacali e la mentalità e l'agire dei lavoratori nelle società fordiste. Essa consiste nel delegare in blocco la difesa dei propri diritti a sindacalisti di mestiere, costringendo i lavoratori alla passività e all'ignoranza sulla propria condizioni e sui modi per modificarla. Tale atteggiamento è tuttora fortemente radicato tra i lavoratori. Per questo rifiutiamo il sindacalismo di mestiere e il sistema dei distacchi permanenti pagati dalla controparte e siamo invece a favore della rotazione degli incarichi.

La Confederazione Cobas è impiantata su Federazioni di Categoria aventi un proprio statuto e una loro autonomia gestionale e finanziaria. La verticalità dell'impianto è bilanciata dal modulo di base, costituito dai Cobas dell'unità produttiva – aziendale e/o territoriale - e dall'orizzontalità territoriale categoriale e confederale. Tale impostazione garantisce da involuzioni "egoistiche" corporative e, nello stesso tempo, amplifica le prospettive di crescita sul terreno sindacale.

Il livello confederale e la sua forte connotazione politica veicolano una visione complessiva della realtà, superando le logiche meramente categoriali, realizzando un'autonoma lettura dei fenomeni sociali in completa indipendenza da altre forze politiche o partitiche.

Le lotte più recenti

Negli ultimi tre anni l’impegno della Confederazione Cobas è stato frenetico sia per l’intensificarsi dell’offensiva padronale sia, da Seattle in poi, per l’apertura di nuove feconde opportunità di intervento grazie alla nascita del nuovo movimento internazionale. In questa fase così ricca di opportunità è cresciuta la nostra capacità e quella delle altre sigle del sindacalismo di base di suscitare mobilitazioni, di orientare politicamente consistenti settori politici e sociali fra i senza proprietà e senza potere, di aprire nel mondo del lavoro vertenze sindacali di carattere generale, di contribuire in maniera rilevante alla ripresa del conflitto sociale in Italia.

Tappe importanti del nostro impegno sono state quelle della contestazione del vertice OECD nel marzo 2001 a Napoli, l’impegno nelle calde giornate di Genova, la grande manifestazione nazionale dei 150.000 contro la guerra del 10 novembre a Roma, le mobilitazioni territoriali da ottobre a dicembre degli immigrati contro l'infame disegno di legge del governo Berlusconi, il grandissimo corteo dei 150.000 immigrati a Roma il 19 gennaio 2002, la manifestazione nazionale dei 70.000 a Roma il 9 marzo per la Palestina.

Sul fronte delle lotte del lavoro, la Confederazione Cobas si è impegnata contro i diversi provvedimenti del governo Berlusconi e per i rinnovi contrattuali. Il settore maggiormente coinvolto è stato quello della scuola, dove i Cobas hanno un forte radicamento e dove riusciamo con le nostre parole d’ordine ad essere punto di riferimento per moltissimi lavoratori, al punto di costringere i sindacati confederali a riscoprire velleità conflittuali sotto la spinta della loro base. Lo sciopero dei Cobas Scuola e la manifestazione nazionale a Roma del 31 ottobre 2001 hanno aperto la strada al conflitto che ha scosso la maggioranza delle scuole italiane nei mesi successivi.

Abbiamo poi lavorato assieme ad altre sigle del sindacalismo di base alla costruzione dello sciopero generale come risposta ai progetti del padronato e del governo. Il 14 dicembre 2001 abbiamo indetto uno sciopero intercategoriale con manifestazioni nelle principali città, cui ha fatto seguito l’ancor più grande sciopero generale di tutto il sindacalismo di base del 15 febbraio 2002, con un corteo di 150.000 persone a Roma, fino allo sciopero generale del 16 aprile, indetto per non dividere i lavoratori nello stesso giorno di Cgil, Cisl e Uil ma con manifestazioni alternative in otto città italiane, alle quali hanno partecipato oltre 300.00 lavoratori/trici.

Siamo infine stati impegnati nella campagna referendaria per l’estensione dei diritti sindacali, contro la parità tra scuola pubblica e privata, contro l’elettrosmog, i pesticidi, gli inceneritori.

A cura della Commissione Internazionale della Confederazione COBAS

Milano agosto 2002

PER UNA SOCIETA' DEI BENI COMUNI

Una giornata di dibattito sul libro di Piero Bernocchi
OLTRE IL CAPITALISMO
Discutendo di benicomunismo, per un’altra società.

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