Le politiche neoliberiste, applicate per decenni alla sanità pubblica, spingono il governo a sacrificare pesantemente il diritto all’istruzione
Il DPCM del 4 marzo 2020 prevede la sospensione delle attività didattiche per ben 10 giorni in tutte le scuole della Repubblica. Per Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto si arriva così a 22 giorni di sospensione o chiusura; numeri solo leggermente inferiori per le altre regioni del nord. Dichiarazioni governative odierne fanno trapelare la possibilità che il termine della riapertura delle scuole potrebbe anche essere spostato più in là, come d’altronde era ed è ampiamente prevedibile. La motivazione del provvedimento è stata letteralmente strappata al Presidente del Consiglio da una giornalista che l’ha interrotto più volte nella conferenza stampa dell’altro ieri: contenere e, più ragionevolmente, rallentare la diffusione del contagio per evitare che un picco alto e immediato possa sovraccaricare il sistema sanitario, che in particolare per la terapia intensiva e in Lombardia (ma per ragioni diverse anche al Sud) non reggerebbe. L’obiettivo è, quindi, quello di dilungare nel tempo la diffusione del contagio, spalmando su un tempo più ampio il picco e riducendone l’altezza, per renderlo più sostenibile per il sistema sanitario.
È di fatto un’ammissione degli effetti pesantemente negativi sul sistema sanitario delle politiche di regionalizzazione: il consulente del governo Ricciardi ne ha evidenziato in questi frangenti le conseguenze strutturali in termini di mancato coordinamento, oltre a Conte stesso, che in alcuni passaggi precedenti è arrivato a minacciare l’uso dei poteri sostitutivi del governo previsti dall’art. 120 della Costituzione; logica vorrebbe che ne ricavassero insegnamenti preziosi sulla prospettiva devastante dell’autonomia differenziata, sia in salsa leghista che in quella piddina.
La regionalizzazione è andata di pari passo (come è strutturale che sia) con l’aziendalizzazione e lapolitica dei tagli continui alla spesa pubblica sanitariaoperata dai governi di centro sinistra e centro destra, che hanno agito negli ultimi decenni in perfetta continuità nel perseguire politiche neoliberiste. Tutto questo, nonostante l’abnegazione e i ritmi massacranti con cui stanno lavorando gli operatori sanitari, esponendosi anche a rischi personali: gli errori fatti dalle ASL, che hanno agito in modo sparso e scoordinato nelle prime fasi con i tamponi per tutti e la corsa all’ospedalizzazione, hanno inserito gli ospedali stessi tra i luoghi di più facile trasmissibilità. E pensare che il nostro sistema sanitario è stato a lungo considerato dall’OMS il secondo al mondo per l’applicazione del principio di universalità della riforma del 1978: tutti hanno diritto alla salute indipendentemente, dal reddito, dai contributi o dalla cittadinanza! Le politiche neoliberiste perseguite negli ultimi decenni costringono di fatto il governo a scegliere tra diritto alla salute e diritto all’istruzione e a sacrificare quest’ultimo in modo significativo e per un tempo imprevedibile!
Pur non essendo per niente certi che la sospensione delle attività didattica sia efficace nel rallentamento del contagio (un lancio Ansa comunica che il Comitato scientifico ha espresso parere contrario all’unanimità sull’efficacia della chiusura solo fino al 15 marzo), se si vuole sperare che si raggiunga lo scopo della sostenibilità per il sistema sanitario sono indispensabili: 1) un massiccio e rapidissimo investimento nelle strutture per la terapia intensiva e per la rianimazione su tutto il territorio nazionale, ma in particolare al Sud che ne è poverissimo; 2) la requisizione momentanea di tutte le strutture private adeguate a tale bisogna.
Ma la chiusura delle scuole provocherà inevitabilmente anche un’estensione della psicosi collettiva e del panico diffuso, con conseguenti ulteriori effetti negativi sull’economia reale e sulla vita sociale. Essa convincerà anche i più scettici che la situazione stia davvero precipitando. E anche dove non ci sono focolai, tantissime persone, ancor più di quanto facevano fino a ieri, eviteranno anche di uscire per andare al cinema, a teatro, nei ristoranti o per riunirsi anche in poche decine. E quei pochi turisti (35 milioni di cancellazioni in una settimana) che ancora volevano venire in Italia annulleranno pure essi le prenotazioni e saremo messi al bando anche nei pochi paesi (i quali peraltro non danno alcuna seria informazione sui "loro" malati) che tenevano ancora le porte aperte agli italiani. E non si tratta solo del turismo: crollano, e tanto più da domani crolleranno, decine di migliaia di piccole attività di ristorazione, accoglienza, ospitalità, artigianato, commercio, produzione e diffusione alimentare. Piccole e medie attività di lavoro autonomo che pagheranno loro – perché le grandi aziende e i potentati economici si salveranno comunque con l’intervento statale – tutto il prezzo della crisi, tracollando e mettendo in mezzo alla strada centinaia di migliaia di lavoratori/trici dipendenti e autonomi alla pari.
Devastanti rischiano di essere anche gli effetti sociali, con la spinta ad evitare o a rimandare tutti le iniziative che vedono la partecipazione di un numero significativo di persone. Non si tratta solo delle partite di calcio o dei corsi di formazione, ma anche manifestazioni, riunioni, insomma tutto ciò che è il sale dell’agire collettivo, con il rischio di un dominio non contingente dell’“io” rispetto al “noi”, con effetti negativi soprattutto per i soggetti economicamente e socialmente più deboli, come ci insegna il principio costituzionale dell’uguaglianza sostanziale. In sintesi, vi è il rischio concreto chel’emergenza Coronavirus diventi l’occasione per seguire le tecniche della shock economy, denunciate da Naomi Klein: in questo caso approfittare della crisi per chiudere strutturalmente gli spazi dell’agire collettivo e del conflitto sociale. In tale ambito assume particolare peso “l’invito”, con il contorno della minaccia di pesanti sanzioni, da parte della Commissione di garanzia a revocare tutti i vari scioperi previsti per il mese di marzo, diktat che, pur se noi non siamo stati tra i promotori di tali scioperi, condanniamo con forza perchè è una pesante limitazione del diritto di sciopero, oltre ad andare in controtendenza rispetto alla ratio dei provvedimenti governativi, visto che lo sciopero viene per lo più agito “a distanza” , stando a casa.
L’aumento della disuguaglianza sostanziale sarà determinato anche dalla perdita di tanti giorni di scuola, che avrà effetti negativi per tutti gli studenti, ma soprattutto per quelli economicamente e socialmente più deboli, anche ma non solo gli alunni diversamente abili, nonostante le rassicurazioni del governo sulla didattica a distanza. A tal proposito va ribadito che il dirigente scolastico, come prevedono sia il decreto Bassanini istitutivo della dirigenza che la stessa Legge 107 sulla c.d. Buona scuola, deve agire nel rispetto delle competenze degli organi collegiali e che il Collegio dei docenti ha competenza generale in campo didattico. Quindi, il dirigente può promuovere e coordinare le attività a distanza, ma non imporle ai docenti. E soprattutto esse possono essere parzialmente utili in questa situazione, ma non devono diventare strutturali e sostitutive dell’attività didattica ordinaria, come molti agenti della didattica di regime stanno provando a fare già in queste ore. Ciò che non hanno ottenuto in anni di pressione, corsi di formazione, piattaforme dedicate, cercano di ottenerlo oggi in pochi giorni per aprire un settore di mercato, mettendo magari il sistema di istruzione pubblica in mano ai colossi, evasori fiscali galattici, dell'high tech (Google, Microsoft, Apple ecc.), ossia l'essenza del capitalismo più rampante, che sfornano prodotti, peraltro di infima qualità, che già vengono sponsorizzati alla grande in tante scuole a cominciare dai cosiddetti animatori digitali. Fino ad ora nelle nostre scuole è stata la professionalità di tanti docenti a fare muro a questa deriva didattica ed oggi dobbiamo prestare molta attenzione affinché la parziale utilità dell’ e learning nella situazione contingente non abbia effetti strutturali e di lungo periodo devastanti: la scuola deve essere una comunità educante, che punta allo sviluppo delle capacità di analisi e di sintesi, allo sviluppo dello spirito critico della/del cittadina/o e, per esserlo, ha bisogno di relazioni umane, emotive e cognitive , che non possono essere assicurate dall’insegnamento a distanza!
COBAS – Comitati di base della scuola
6 marzo 2020