DESAPARECIDOS, CHIAMATEMI BERGOGLIO, di Roberto Massari
Da vari decenni i desaparecidos argentini chiamano Jorge Bergoglio (Provinciale dell'ordine dei Gesuiti al momento della loro morte), ma lui continua a non rispondere. E ora, anche da papa, Francesco non sembra intenzionato a chiedere perdono per il comportamento suo e dell'alta gerarchia cattolica negli anni di maggior ferocia dei militari al potere (1976-79, nel quadro di una dittatura durata dal 1976 al 1983).
Quelli furono anche gli anni più propizi per la sua carriera ecclesiastica: fu infatti Provinciale - la massima autorità nazionale dei gesuiti - proprio dal 1973 al 1979, l'anno in cui al vertice della Celam a Puebla si batté in prima linea nella condanna della teologia della liberazione. A partire da quell'anno fatidico, la sua carriera fu tutta in salita, fino ad arrivare dove sappiamo.
In questi giorni è in uscita un film -Chiamatemi Francesco, diretto da Daniele Luchetti e prodotto da Taodue, di proprietà del gruppo berlusconiano Mediaset - che torna su quelle tragiche vicende, col preciso impegno di assolvere papa Francesco proprio in relazione a ciò che fece (e soprattutto non fece) negli anni peggiori della dittatura. Non trascura nemmeno le accuse specifiche riguardo al sequestro di due suoi confratelli (Jalics e Yorio) che furono subito rivolte contro di lui dai diretti interessati e poi riprese agli inizi di questo millennio in due libri del celebre giornalista Horacio Verbitsky (entrambi tradotti in italiano dalla Fandango, anche se ben pochi lo sanno, visto che su questi due libri vige la più ferrea congiura del silenzio).
Si tratta di un'operazione cinematografica un po' maldestra di camuffamento delle responsabilità di Bergoglio, anche se il film non esita a mostrare una parte della colpa che ebbe la gerarchia cattolica per i massacri di quegli anni terribili. Il film, infatti, compie un'operazione politica molto precisa: mentre abbandona l'alta gerarchia cattolica argentina al giudizio della Storia (visto che le sue colpe sono indifendibili e comunque appartenenti a un sempre più lontano passato), allo stesso tempo tenta disperatamente di salvare ilsoldatoBergoglio (in fondo era pur sempre un subordinato, un gesuita sottoposto a disciplina quasi militare nei confronti del suo Superiore, Pedro Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983).
Va però detto che anche la denuncia delle responsabilità della Chiesa nel film è tendenziosamente insufficiente, visto che non compare mai il nome del numero uno della gerarchia cattolica che fu il maggior complice dei militari: Pio Laghi, nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980. Per avere un'idea del suo ruolo (oggetto di polemiche anche in ambienti cattolici), basti dire che con il generale piduista Massera giocava a tennis, mentre nel Paese scomparivano ad opera dei militari circa 30.000 persone, molte dopo indicibili torture e trattamenti disumani d'ogni genere.
È certamente un'ironia della società dello spettacolo che il compito di assolvere il Papa argentino-astigiano sia affidato a un regista laico, dotato alle spalle di una robusta cinematografia di denuncia (Il portaborse,Mio fratello è figlio unico,La scuola) della quale io rimango personalmente grande ammiratore, nonostante la caduta verticale e abissale di questo film. Uno di quegli autori, per giunta, che non hanno mai capito bene cosa sia stato lo stalinismo e quindi si dichiarano ancora «nostalgici del vecchio Pci» e si vantano di aver fatto parte della Fgci (intervista a Vittorio Zincone sul suppl.Settedel 4/12/15, p. 42). E proprio questo serviva al Vaticano: un regista laico, fin qui onesto e attendibile, non accusabile di clientelismo o clericalismo, che fosse disposto a farsi carico della triste bisogna. Operazione andata «miracolosamente» in porto, sia pure attraverso un canale berlusconiano - cosa che farà storcere il naso a qualcuno, ma non al sottoscritto.
Non si pensi che il film abbia perlomeno il merito di denunciare le malefatte dei militari argentini, svolgendo una funzione di risveglio delle coscienze su tale tema fuori del Paese. Perché il tema invece è mondialmente conosciuto, arcipubblicizzato e dibattuto non solo tramite le centinaia e centinaia di inchieste giornalistiche (che non sembrano finire mai, anche grazie al lavoro delleMadrese delleAbuelasde la Plaza de Mayo), ma anche con i libri, i processi nei tribunali di vari Paesi (Europa e Italia inclusa), le rappresentazioni teatrali, i documentari e i molti film che cominciarono a uscire appena finita la dittatura. Ecco un elenco dei soli lungometraggi, escludendo quindi i documentari:La storia ufficiale, di Luis Puenzo (1985);La notte delle matite spezzate, di Héctor Olivera (1986);La morte e la fanciulla, di Roman Polanski (1994);Garage Olimpo, di Marco Bechis (1999);Figli - Hijos, di Marco Bechis (2001);Immagini, di Christopher Hampton (2002);Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977, di Adrián Caetano (2006);Complici del silenzio, di Stefano Incerti (2009).
L'operato di Luchetti non può quindi giustificarsi nemmeno all'insegna orrida del fine che giustifica i mezzi, e cioè che egli avrebbe scelto di fornire una copertura a Bergoglio allo scopo di far risaltare meglio la denuncia delle mostruosità dei militari argentini. No. Il compito era chiaramente e programmaticamente stabilito: salvare il soldato Bergoglio, come già detto, anche a costo di lasciare indifesa la gerarchia argentina. E Paola Casella - che nella sua recensione in mymovies.it si sbilancia fino ad affermare che Luchetti e il produttore Valsecchi non hanno chiesto la collaborazione del Vaticano - non deve aver visto il film sino alla fine. Perché proprio nell'ultima scena (di repertorio) compare il Papa neoeletto, quello vero, mentre pronuncia la storica frase di saluto al pubblico in piazza S. Pietro. E il diritto (copyright) di utilizzare una simile storica scena non sarebbe mai stato concesso alla produzione, senza un accordo preliminare e un'attenta analisi della sceneggiatura da parte vaticana. Di questo si dà conto nei titoli di coda che, peraltro, scorrono troppo rapidi per poter vedere chi ha effettivamente aiutato per la realizzazione del film. Io ho fatto appena in tempo a individuare 3 o 4 istituzioni militari argentine; ma sarebbe interessante stabilire quali, esattamente - cosa che potrò fare solo quando sarà disponibile il DVD.
E in effetti, l'altro grande assente - oltre al Vaticano (Paolo VI fino al 1978, poi Giovanni Paolo II, la Curia romana sempre) e alle personalità dell'alta gerarchia cattolica argentina - è proprio il potere, quello vero, quello che utilizzava i militari assassini per porre termine a un periodo di grande insubordinazione sociale, cominciato all'epoca delCordobazo(1969) e proseguito col ritorno di Perón nel 1973. Jorge Rafael Videla compare in un'intervista televisiva, ma non viene tirato in ballo nessun partito politico, nessun alto comando o arma militare, nessun'azienda o gruppo di potere finanziario: nemmeno quell'ala destra della burocrazia sindacale (coi suoi criminalimatones) che trasse enormi vantaggi dall'assassinio sistematico delle avanguardie operaie.
Nel coro prevedibile di recensioni entusiaste o comunque favorevoli al film, abbiamo trovato ben poche voci critiche. Va quindi citata in modo particolare quella che ci è parsa più precisa e coraggiosa (Valerio Caprara suIl Mattino).
Le critiche riguardano ovviamente la mistificazione operata dal film. Ma la mistificazione non va intesa solo in senso storiografico: in ultima analisi, non sarebbe infatti compito del cinema stabilire l'esatta sequenza degli avvenimenti e le modalità del loro svolgimento. Questa è opera dello storico. Il linguaggio del cinema opera diversamente, avendo a disposizione molteplici e quasi infinite possibilità tecnico-artistiche.
Per es. in questo caso Luchetti basa gran parte del film sulla rappresentazione filmica di cosa Bergoglio potrebbe aver pensato in occasione di determinati assassini, di arresti, di incontri con tanta povera gente ecc. Ebbene, questo procedimento del film è in primo luogo monotono e ripetitivo. Ricorrono situazioni molto uguali fra loro (per lo più drammatiche) che si riflettono senza grandi variazioni nelle espressioni un po' statiche del volto del povero Rodrigo de la Serna (qui impegnato a rendere vero l'impossibile), che invece era parso magnifico nella parte di Alberto Granado neiDiari della motocicletta(a differenza del collega Gael García Bernal nei panni del giovane Ernesto).
In secondo luogo è arbitrario: la sofferenza interiore di Bergoglio viene data come fatto certo, gli si mettono in bocca parole e riflessioni tutte uguali, incontrovertibili, senza sconnessioni, cambiamenti di opinione o momenti di eroismo (mentale) od opportunismo (anch'esso mentale). Un fatto che certamente contribuisce a costruire l'immagine delsantino(indubbio l'intento agiografico anche nel tipo di inquadrature, i primi piani accattivanti, la modestia nel vestire, l'essenzialità dei movimenti) che qualcuno ha già timidamente riconosciuto nella figura attoriale del futuro Papa.
Del resto, diciamocelo una volta per tutte: questa indagine retrospettiva di cosa può aver provato Bergoglio davanti allo sterminio dei suoi connazionali e, concediamolo pure, magari davanti alla propria impotenza nel porvi termine, avviene oggigiorno, a tanti anni di distanza e solo perché Bergoglio è diventato papa. Altrimenti la sua storia personale, il suo tormento interiore e gli accomodamenti che deve aver trovato con la propria coscienza per non essere travolto dai complessi di colpa, sarebbero scomparsi nell'anonimato come tanti altri. La sua vicenda interiore si sarebbe dissolta nel nulla, alla pari dei molti altri prelati responsabili come lui, alcuni certamente complici, che rifiutarono di fare alcunché per fermare i militari e impedire lo sterminio di un'intera generazione intellettuale e militante, la «meglio gioventù argentina».
Il film opera una mistificazione cinematografica ancor più grossolana, ma che purtroppo avrà presa sulla fantasia degli spettatori, facendo vedere per gran parte del tempo Bergoglio impegnatissimo a nascondere persone (in genere seminaristi), a far uscire ricercati dalla cintura di Buenos Aires, insomma a farecose di nascostoper salvare vite umane.
E su questo aspetto fondato su leggende postume e testimonianze di comodo - che ho denunciato in alcune mie lettere a un sacerdote amico, dotato di spirito critico e onestà intellettuale - emerge la vera truffa del film: a) di queste attività segrete non vi è alcuna traccia documentaria (né potrebbe esservi - quindi mistificazione storiografica), ma solo resoconti verbali registrati a decine di anni di distanza e soprattutto dopo l'elezione di Francesco; b) non sono questi gli interventi che ci si attende da un Provinciale che voglia impedire lo sterminio: un alto esponente della gerarchia deve procedereper via gerarchica, deve far pesare lapropria carica, deve utilizzare l'arma delladenuncia pubblicae se non basta anche quella delloscandalo pubblico, per salvare vite umane. In tal modo non ne salverebbe una dozzina o due (come viene fatto vedere nel film, ipocritamente e forse anche falsamente), ma ne salverebbe centinaia, addirittura migliaia se il suo esempio diventasse contagioso e si estendesse ad altri prelati, ad altri membri della gerarchia. Certo, rischierebbe di essere ucciso, ma in assenza di questo suo impegno sono altre migliaia di persone che vengono uccise al suo posto, e tra queste anche dei sacerdoti di base.
Non mi stancherò mai di estendere questo ragionamento a tutti coloro che detengono incarichi di potere pubblico e mirano ad accreditare un proprio presunto interessamento per le vittime fondato su iniziative private, personali, clandestine e misteriose. Ne è un triste e massimo esempio Pio XII, che dopo aver lasciato inerme il popolo ebraico in mano alla furia nazista ha incaricato la propaganda vaticana di inventare suoi personali interventi a favore di questo o quell'ebreo, di questo o quel ricercato dai nazisti. Truffa di basso livello, che però ha presa su chi vuole crederci. Come Papa aveva a disposizione il prestigio di un presunto vicario di Dio sulla terra e il potere dell'apparato vaticano mondiale. A quel livello si sarebbe dovuto muovere, ma di quel livello non esiste la benché minima traccia scritta o documentaria che possa attestare una sua opposizione alle persecuzioni naziste. Lo stesso vale, sia pure in scala minore, per l'indifferenza di Bergoglio nei confronti dell'eccidio perpetrato dalla dittatura militare durante il suo Provincialato.
La regia del film è monocorde, ha la forma di un documentario privo di agganci storici reali, di un documentario senza documentazione, per giunta di un documentario che vuole presentarsi come unafictionstoricamente fondata. Le riprese in esterni battono ripetitivamente sul tema della miseria, dando così un'immagine terzomondistica dell'Argentina, il che è ridicolo soprattutto per una delle più moderne città «europee», come Buenos Aires. La sceneggiatura è fatta di dialoghi improbabili, irrealistici, retorici e ovviamente reticenti. Ma la cosa peggiore del film è che non c'è mai un guizzo di fantasia, un qualcosa che non appartenga al mondo interiore di un Bergoglio presuntamente sofferente e ci riservi qualche sorpresa, qualche contrappunto filmico. Insomma, manca l'arte cinematografica. Quella che invece c'era, tanto per fare un esempio, in un film per molti aspetti analogo -La battaglia di Algeridi Gillo Pontecorvo - che senza allontanarsi troppo dalla realtà politica riusciva veramente ad appassionare lo spettatore, facendolo sbandare, cadere e riprendersi, parteggiando e allo stesso tempo provando sgomento nell'identificazione coi personaggi sullo schermo. Ma quella era arte, anche se di parte, e non importa che stesse dalla parte «giusta», a differenza del film di Luchetti, schierato in una presunta terza posizione neutra mentre si compie un massacro epocale sotto i suoi occhi. Quella di Pontecorvo era un'opera d'arte che faceva anche propaganda a favore di certe idee anticoloniali e antimperialistiche. Questo è un film servile, di mera propaganda, studiato a tavolino, commissionato dal Vaticano o da chi intendeva fare un regalo a Francesco (magari per difenderlo dalle congiure di palazzo interne alla Curia, delle quali si mormora da un po' di tempo in qua), e comunque utile nel presente e nel futuro per dare una copertura al passato di questo Papa testimone diretto e attivo/passivo di una delle più grandi e più crudeli tragedie del dopoguerra.
E poiché la società dello spettacolo nel suo insieme - della quale Francesco mi sembra un ottimo esponente manipolatore - sta accreditando un'immagine simpatica, umana e gradevole di questo Papa, per le masse cattoliche e non (in un momento tra l'altro in cui tende a crescere la contrapposizione cattolica all'islamismo), la mistificazione di questo film avrà certamente facile presa anche sui non credenti, e anche gli spettatori laici gli perdoneranno facilmente il fatto d'essere monotono, retorico, agiografico e cinematograficamente poco gradevole.
Ecco, se potessi io farei invece un film al limite del surreale sugli incubi notturni di quest'uomo che, a differenza di Luchetti, sa bene di quali colpe si è macchiato nell'ambito della Chiesa argentina, ma non intende chiedere perdono. E quindi è giocoforza pensare che aidesaparecidostoccherà ancora per molto tempo, forse per sempre, continuare a chiamarlo per nome dal buio vortice del loro martirio: Jorge Bergoglio.