VERTICE DI CANCUN1
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CONTROVERTICE DI CANCUN
Riflessioni e proposte
A cura della Commissione Internazionale
della Confederazione COBAS
Settembre 2003
Un po’ di colore
Arrivando a Cancun si viene aggrediti da un caldo torrido, umidità infernale e ci si ritrova in una sorta di disneyland posticcia. La zona in cui sono ubicati gli hotel turistici (chiamata appunto zona hotelera) è totalmente isolata rispetto alla città; è stata costruita dagli americani nel lusso più sfrenato (quasi tutti hotel a 5 stelle con piscine e campi da golf) su quella che fino a qualche tempo prima era una palude. Vi si accede attraverso uno stradone che percorre una stretta striscia di terra tra il mare e la laguna oppure da un’altra strada che la aggira passando nelle vicinanze dell’aeroporto.
La zona rossa riservata agli incontri ufficiali del vertice del OMC non comprende tutta la zona hotelera, collocata strategicamente al centro della zona hotelera e circondata da numerosi posti di blocco che chiudono gli accessi limitando notevolmente i movimenti. Logisticamente la scelta risulta felice (dal loro punto di vista), è pressoché impossibile pensare di forzare l’ingresso barricato e presidiato da ingenti forze di varie polizie (federale, presidenziale e da un esercito di addetti alla sicurezza): il tutto dovrebbe infatti avvenire su di un “fronte” di circa 30 metri e con la prospettiva di dover percorrere uno stretto budello di 10 km prima di giungere al centro congressi, assolutamente impensabile.
La situazione risultava ulteriormente complicata dal fatto che esistevano di fatto due controvertici, anzi meglio sarebbe dire un controvertice ed un paravertice; in quanto il grosso delle ONG ha deciso di organizzare una cospiqua serie di attività ed eventi all’interno della zona rossa, zona alla quale si poteva accedere solo con l’accredito rilasciato dal OMC. Ovviamente tutti dichiaravano di coordinare le iniziative per il controvertice in una sorta di triangolazione virtuosa, ma questa scelta ha sicuramente complicato le cose soprattutto dal punto di vista logistico ai partecipanti non accreditati.
Non vogliamo mettere in discussione la legittimmità delle ONG ad organizzare eventi insieme ai governativi ed ai funzionari OMC, come non si discute il ruolo utile che possono avere in molte situazioni in cui operano per conto di governi poveri; tuttavia questo non ci esime da sottolineare come per molte ONG l’attività sia “condizionata” dal ricatto dei governi sui fondi e sulle sovvenzioni ai progetti. Così come ci è sembrata molto discutibile la scelta di organizzare iniziative dentro la zona rossa, quindi irragiungibile per molti.
Una scelta quindi molto differente da quella di Seattle, che ha costretto i movimenti relegati fuori dalla zona hotelera a concentrarsi sulle mobilitazioni per garantire visibilità ai contenuti.
Fin dalla prima riunione (assemblea dei movimenti sociali del 7 settembre) da un punto di vista decisionale il pallino è apparso in mano alla CUT (sindacato brasiliano) ed a Via Campesina che raduna decine di organizzazioni campesine ed indigene; entrambe le organizzazioni si riferiscono a milioni di persone e rappresentano fondamentali pezzi del movimento mondiale. Sebbene la discussione sia stata molto interessante va sottolineata una partecipazione in termini numerici assolutamente modesta, anche se per correttezza va rilevato che mancavano due giorni all`inizio del vertice OMC. La presidenza dell`assemblea è stata tenuta dalla CUT e dal segretariato mondiale dei movimenti sociali adottando subito alcune decisioni: uscire entro il 13 con una dichiarazione unitaria, preparare un’agenda di appuntamenti come tappe di avvicinamento al Forum Sociale Mondiale di Mumbay e infine appoggiare sia la manifestazione indetta da Via Campesina per il 10 settembre che quella finale del controvertice prevista per il 13.
L’agenda degli appuntamenti è molto fitta, le sedi e gli orari ballano a causa di una fortissima disorganizzazione e non è semplicissimo neanche seguire tutto ciò che succede.
Il Foro di Via Campesina
Questo foro, durato 3 giorni, è stato sicuramente uno degli eventi fondamentali del controvertice, sia per il peso dell`organizzazione sia per il fatto che la questione agricola in generale ed in particolare quella della proprietà della terra e della riforma agraria, rappresentano le contraddizioni principali di tutta l`area latino americana.
Lo sforzo fatto dalle varie organizzazioni per portare migliaia di campesinos a Cancun è titanico, reso ancor più notevole dalla situazione di povertà estrema e dalla repressione violenta di cui sono oggetto; moltissimi compagni/e provenienti dai paesi centroamericani sono stati bloccati alla frontiera, chi riesce ad arrivare sta sotto tendoni torridi in mezzo a campi di calcio.
Il giorno 8 settembre l`atto inaugurale del Foro si svolge in una palestra: l`iconografia è suggestiva, va da una sorta di altare con incenso annesso, che dovrebbe ricordare la visione maya della madre terra, alle bandiere cubane e quelle rosse con la faccia del Che. Con tipica enfasi latino americana vengono chiamate all`appello le varie delegazioni campesine e di altri movimenti ospiti (e sono tanti), tutto intervallato da slogan estremamente chiari nei contenuti ed irriducibili rispetto all`OMC e al mercato capitalista in generale. Quando il fumo dell’incenso sale alto una piccola processione porta all`altare un grande poster del Che ed uno di Zapata, mentre tutta la palestra scandisce i nomi degli “heroes y martires” latino americani da Bolivar a Farabundo Martì, fino ai più gettonati Sandino e Guevara e sopra tutti l`osannato Zapata; è un momento toccante e, se la scelta delle icone vuol dire qualcosa, potremo dire che siamo sulla buona strada.
Successivamente partono i gruppi di lavoro sui diversi temi posti sul tappeto, si tratta di ben 9 tavoli di lavoro specifici che girano intorno ad alcuni assi principali: la sovrania alimentare, la questione delle sementi e del transgenico, l`accesso alla terra e l`imperialismo nord americano (sì lo chiamano proprio così con nome e cognome).
Riunione contro la guerra e la militarizzazione
Si è formato un gruppo che lavora su questi temi e che si è ritrovato anche nei giorni successivi; la prima riunione, nonostante la difficoltà a localizzarla, è stata interessante: sta prendendo infatti forma l’idea di strutturare un gruppo permamente del foro sociale mondiale che segua questi aspetti. Ovviamente si tratta dell`onda lunga delle manifestazioni del 15 febbraio che sono state ricordate da tutte le delegazioni, ma si cercherà di andare oltre per riuscire a definire una campagna mondiale che si occupi di questi temi ma anche di definire anche un`agenda operativa. Nelle riunioni successive si è meglio definito quanto discusso e si è giunti alla definizione di un piano di attività che, prendendo come base un documento elaborato in un incontro internazionale tenutosi a Giakarta (il cosiddetto “consenso di Giakarta”), dovrebbe articolarsi su 4 assi principali:
- Creazione di un tribunale internazionale alternativo sui crimini di guerra
- Organizzazione di una presenza stabile di osservatori internazionali di pace in Bagdad
- Formalizzazione di un foro mondiale contro la guerra che dovrà essere presente a Mumbay
- Campagna internazionale di mobilitazione contro le basi militari nei paesi terzi (inizialmente si era proposto le basi USA, poi si è deciso di inserire anche quelle formalmente della NATO e/o di altri paesi)
Sicuramente gli ultimi due punti risultano gli obiettivi più qualificanti e, forse, praticabili; ad ogni modo sono stati tutti pienamente assunti con pari livello di priorità. Ovviamente dovrebbe seguire un lavoro di collegamento, via Internet a partire dalla discussione elaborata nei singoli paesi.
La manifestazione del 10 settembre
Una “normale” manifestazione controvertice con scontri alle barriere della zona rossa; l`imponente schieramento di polizia non viene messo in moto con pesantezza, anzi gli scontri sono in realtà limitatissimi e l`attitudine della polizia non è particolarmente violenta (alla faccia dei paesi latino americani violenti e della democratica Italia di Genova). Su tutto questo cala come un fulmine il disperato gesto del campesino Koreano, autore del karakiri in diretta televisiva.
La tragedia di quest’uomo ha messo alla ribalta quella ancor più drammatica in cui vive il suo paese, sostanzialmente governato dal FMI dal 1997 dove la situazione economico sociale sta degenerando: i piccoli contadini sono alla rovina, il 54% della popolazione attiva lavora in modo informale, senza garanzie e diritti, il paese è sempre più indebitato. Un film già visto che sta alla base di una grande tragedia individuale di un uomo che ha sempre lottato per migliorare le condizioni dei contadini. Quelle che sono state le sue ultime dichiarazioni mente contestava l’OMC a Ginevra Testamento di LEE del tutto simile a quello che Gramsci scriveva sulla questione meridionale
Da quel momento le cose sono ovviamente cambiate, gli atti commemorativi si sono succeduti in un crescendo di tensione. Nella serata stessa c`è stato un concentramento di fronte all`ospedale dove era morto, con veglia, funerale koreano ed assemblea per strada. La delegazione governativa koreana che era venuta è stata contestata dai koreani compagni del morto (da notare che la delegazione koreana conta di ben 180 persone) e successivamente è successo che una delegazione di black è venuta a portare il suo saluto ed ha regalato ai koreani una bandiera che questi hanno accettato con entusiasmo.
Le riunioni sindacali
Vi sono stati vari forum sindacali, nel programma risultavano indetti da sindacati indipendenti, anche se in sostanza si trattava di riunioni indette da confederazioni internazionali.
La prima kermesse a cui abbiamo assistito era stata organizzata dalla International Confederation of Free Trade Unions (ICTFU) ed è stata francamente penosa, con la partecipazione di ministri e funzionari OMC (ovviamente all’Hilton hotel, dove però siamo riusciti ad entrare di straforo), con invitati del calibro del direttore generale del WTO, del Commissario UE P. Lamy, della capo-delegazione degli USA agli affari commerciali... e quindi si può immaginare il livello di discussione.
Il più schietto in questo consesso è stato senza dubbio Lamy che parlando “ad una platea di sindacalisti” ha ricordato, alluso per poi retoricamente concludere “conviene trattare (col padrone USA o UE che si voglia) per avere accordi multilaterali o bilaterali ? Della serie: convinceteli – voi che sapete e avete convenienza a trattare - i paesi poveri a raggiungere l’accordo sulla agricoltura perché altrimenti facciamo accordi separati.
Era comunque incredibile sentir parlare sia il vice presidente del Banco Mondiale che quello della OMC delle loro organizzazioni come di strutture filantropiche al servizio dei popoli!!
Un secondo incontro è stato organizzato dalla CUT, fuori dalla zona hotel, al quale hanno partecipato effettivamente solo sindacati di varia estrazione tra cui l’FSU francese (Sophie Zaphari) (suscitando le ire del CGT), per l’Italia è stato invitato Barbieri della Cgil; il dibattito è stato molto più interessante, tra i temi più “caldi” il rapporto tra sindacati e “governi amici” in particolare si è ragionato sui casi di Sudafrica e Brasile, il tema è rimasto sospeso, ma dovrebbero seguire confronti (vale appena il caso di dire che l’intervento più insulso è stato proprio quello della cgil, che non ha trovato di meglio che parlare della fiat degli anni 60 e 70!).
Infine c’è stato anche un forum internazionale sindacale, organizzato dalla centrale messicana; anche qui hanno parlato in molti: ci sono stati alcuni interventi forti e politicamente orientati (molto buono l’intervento di un sindacalista cubano e di un sindacalista messicano dei Servizi Pubblici), altri molto più ancorati alle realtà locali. Abbiamo comunque raccolto vari contatti in previsione di poter meglio approfondire le relazioni internazionali
La manifestazione del 13
Questa manifestazione è nata in una situazione complessa, dovuta principalmente ai problemi politici esistenti tra grosse componenti (era particolarmente visibile quello tra Via Campesina e la CUT), alle divisioni presenti nel controvertice (ad esempio tra Via Campesina e il Frente Sindical Messicano) ed a grossissime difficoltà logistiche. Tutto portava a temere una affluenza scarsa; addirittura si era messa in dubbio l`opportunita` di fare o meno la manifestazione.
Nella serata del 12 dopo una serie di riunioni estenusnti alla fine si e` arrivati alla definizione della manifestazione, del percorso e della gestione della piazza. Tutte le componenti decidono di partecipare alla marcia che terminerà nel luogo dove e` morto il koreano (notate che quando si parla di tutte le componenti si intende dire proprio tutte, dalle delegazioni dei sindacati internazionali che non intendono andare oltre ad un comizio a fine corteo, a Via Campesina che annuncia azioni successive, ai movimenti sociali, ai giovani ed ai black).
L’aspetto interessante, che rappresenta una grossa novità, e` che il "bloque negro" (sono loro stessi a definirsi cosi`) partecipa all’ultima assemblea e prende parte alla formulazione degli accordi sulla gestione della piazza.Vengono annunciate azioni forti contro la rete che isola la zona rossa, e tutto ruota intorno a Via Campesina che sceglie i temi con molta chiarezza ed impone ai Black un accordo: si andrà tutti insieme contro la barriera, i Black promettono di non agire con violenza sulle persone e di rispettare i tempi collettivi decisi, annunciano pero` di non rinunciare all`autodifesa anche violenta in caso di attacco della polizia.
I leader di Via Campesina chiedono che chiunque non voglia partecipare alle azioni dirette resti comunque nella piazza di fine corteo per dare copertura politica e che comunque ci si astenga da qualsiasi tipo di condanna o censura sulle azioni che verranno messe in atto, legittimandole di fatto tutte.
La manifestazione parte alle 10 di mattina, tutto normale, poca gente per gli standard a cui siamo abituati, ma molto variegata e combattiva con una gran ricchezza delle più disparate delegazioni, dai Dakota (quelli di Cavallo Pazzo per capire) ai sindacati come la Cgil, fino ai Black che arrivano con tutta l`artiglieria in bella mostra ed ordinata nei carrelli del supermercato; ovviamente la parte del leone spetta a Via Campesina ed alla delegazione koreana. Dopo la fine del corteo unitario parte l`assalto alla barriera, che ricordava una vera e propria guerra medioevale, c`erano gli arieti (che non sono poi stati usati) enormi corde per l`arrembaggio, lance tamburi...insomma di tutto in mezzo ad un casino boia. Gli indiani (quelli americani) hanno dato il segnale coi tamburi e via. L’assalto è diventato un assedio perché di fronte a quella babele che pareva uscita da quegli strani fumetti di fantascienza sul dopobomba c’era del solido acciaio del ventunesimo secolo e ci sono volute più di tre ore per distruggerla.
Due cose notevoli: la polizia non ha fatto assolutamente nulla, limitandosi ad arretrare e a sperare che non si andasse oltre ed i Black che non solo hanno rispettato gli impegni alla lettera ma anzi sono stati il servizio d’ordine della manifestazione insieme ad altri ed hanno garantito il buon esito delle operazioni.
Distrutta la barriera vi è stato un rito propiziatorio culminato con il dare fuoco ad un pupazzone che rappresentava l’OMC e ad una bandiera america che per quanto era grande per quanto è bruciata nel tripudio collettivo.
I Movimenti sociali
Difficile trarre conclusioni definitive, comunque rimane forte l’impressione che i sottostimati movimenti latinoamericani (almeno quelli che contano) siano, nel complesso, molto più radicalizzati rispetto a quelli europei, dove il connotato anticapitalista e molto più marcato del generico antiliberismo dei movimenti europei. Così come ci è parso di capire che sull`imperialismo le idee siano chiarissime, comprese quelle dei compagni del Chiapas che hanno allegramente partecipato a tutta la festa.
Detto questo le assemblee dei movimenti sono state in realtà state molto poco partecipate dal punto di vista numerico; l’impressione è che le divisioni tra le varie componenti (che non sono mai state discusse pubblicamente) abbiano influito in maniera molto pesante.
Sicuramente ha influito negativamente anche il comportamento dell’area che fa riferimento alle ONG in genere, che in latinoamerica è molto più consistente rispetto alla nostra situazione: molti/e compagni/e lavorano in ONG come consulenti e praticamente ogni organizzazione ha varie ONG come punti d’appoggio.
La scelta di essere “dentro” ha in parte snaturato il “controvertice” privandolo di forze qualificate, inoltre va tenuto presente che le difficoltà di movimento e la povertà delle fasce più combattive rende molto difficile permanere più giorni in una situazione molto difficile.
Che cosa ha rappresentato veramente Cancun
Una battuta di arresto del processo di globalizzazione mondiale? Uno schiaffo alla politica imperialista degli Stati Uniti e dell’Europa? Un tentativo di riscatto dei popoli oppressi? Forse tutte e tre le cose assieme, anche se è impossibile inquadrarle in un embrione di una risposta organizzata da parte dei movimenti che lottano contro la globalizzazione
Sicuramente c’è stato uno scontro fra due concezioni antitetiche della società, la presa d’atto che i due modelli economici e sociali a cui fanno riferimento sono alternativi.
Il primo è quello dell’imperialismo e del capitalismo neo-liberista, un modello che usa le armi dello sfruttamento, della flessibilità, della precarizzazione delle esistenze, della devastazione sociale e con altrettanta facilità le armi vere, i cannoni, i missili e le bombe per piegare la sovranità dei popoli.
L’altro è un modello forse meno articolato ma che richiede giustizia sociale, diritti per tutti, pace, libertà. Cancun ha dimostrato che queste concezioni di vita non sono compatibili.
L’altro aspetto significativo è quello legato alla non riformabilità della OMC perché questo istituto basa la sua forza sulla sopraffazione dei popoli più deboli, sul potere di pochi contro le esigenze di tanti.
In questo contesto il ruolo degli Stati Uniti ed dell’Europa è stato di un’arroganza spietata. Entrambi sono arrivati a Cancun con l’intenzione di tutelare privilegi acquisiti, basti pensare che l’Europa spende in sovvenzioni pubbliche 17.000 €/anno per ogni agricoltore (che rappresentano appena il 3% della popolazione).
Con questo meccanismo gli agricoltori europei possono inondare di eccedenze a basso costo i paesi poveri (è vergognoso continuare a definirli sottosviluppati) impedendo ai contadini poveri del terzo mondo di commercializzare i loro prodotti e condannando alla povertà oltre 144 milioni di persone. Stessa logica per gli Stati Uniti che oggi sovvenzionano con 300 miliardi di dollari i produttori di cotone - poche migliaia di persone ma grandi elettori di BUSH – permettendogli così di ridurre alla fame 10 milioni di contadini in Africa.
Il risultato di queste politiche è che per una vacca europea si spendono 3 $/giorno il reddito medio delle popolazioni povere del terzo mondo è inferiore a 2 $/giorno.
Cancun ha messo in evidenza il paradosso dei fautori della sovranità del libero mercato che negando i fondamenti teorici del libero scambio invocano il protezionismo per proteggere i loro privileggi.
L’unica concessione secondo P. Lamy stava nella possibilità per USA ed Europa di accettare la riduzione dei sussidi in cambio di una apertura senza condizioni e addirittura con agevolazioni alle multinazionali al mercato dei servizi (energia, acqua, sanità, scuola, telecomunicazioni), in cambio la minaccia di firmare accordi bilaterali.
Come se gli Stati Uniti non avessero fino ad oggi firmato accordi bilaterali (NAFTA con Canada e Messico e non si stesse battendo per creare entro il 2005 una grande zona di libero scambio che va dall’Alaska alla Patagonia.
Lo hanno capito per primi i contadini messicani, gli Zapatisti che si sono rivoltati contro il NAFTA e oggi Via Campesina che combattono contro il trattato di libero scambio dell’ALCA.
Chi esce letteralmente massacrato da Cancun sono invece le terze vie europeiste, quelli della “via dolce alla globalizzazione”, del liberismo temperato ad uso e consumo dei propri capitali nella lotta per l’egemonia e il ridimensionamento degli USA: non si può parlare in questo senso della sconfitta di Lamy (socialista) se non si senza parlare anche di quella Prodi, e con lui di quella dei Rutelli e dei D’Alema.
E se gli USA cavalcheranno gli accordi bilaterali questo non sarà certo perché la macchina dell’OMC si è inceppata quanto perché gli accordi bilaterali li hanno sempre fatti e se questi non bastano allora la guerra diventa lo strumento principe.
Tutto questo aumenterà certamente il caos di sistema ma aprirà nuovi varchi al movimento di opposizione sociale .
Una ultima annotazione. Noi riteniamo che non si può e non si deve confondere convergenze tattiche come quelle (G21, G23) che hanno prodotto il risultato di Cancun, con forme di opposizione organica e strutturata al neo liberismo. Sarebbe un errore ne più ne meno come se avessimo considerato il governo Tedesco e quello Francese organici al movimento per la pace, dimenticandoci che cosa hanno questi paesi quando hanno ritenuto la guerra uno strumento conveniente.
Le leadership tanto esaltate come quella del Brasile (fra i capofila del G21)hanno appena firmato l’accordo per l’utilizzo degli OGM su vasta scala, scaricando sui campesini i costi sui danni che potrebbero essere arrecati dall’utilizzo di queste sementi transgeniche.
Senza dimenticarci che il conflitto espresso a Cancun è rintracciabile ovunque. E’ nel tentativo di rubare il gas ai Boliviani come nel varo di un trattato sulla Costituzione Europea a misura degli interessi dei grandi capitali, che cancella i diritti dei lavoratori e privatizza i servizi sociali per offrirli al libero mercato.
Cancun è Italia e non solo per quelle reti che ci hanno ricordato la tonnara di Genova. E’ l’Italia del black-out e della privatizzazione degli acquedotti, della mercificazione del sapere e della salute.
Cancun è Italia anche quando si privatizza da sinistra. Non basta andare a P.Alegre per lavarsi la coscienza e poi una volta a casina privatizzare acquedotti, ospedali, case di riposo … tanto per fare qualcosa di sinistra.
A cura della Commissione Internazionale della Confederazione Cobas
Alessandro Palmi – Nicola Delussu
Ottobre 2003