Relazione Mumbai

 

CONFEDERAZIONE COBAS

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MUMBAI 2004

Forum Sociale Mondiale:

si può parlare di svolta?

Relazione della delegazione COBAS

Febbraio 2004

Premessa

Dopo 3 anni di eventi brasiliani il Forum Sociale Mondiale di Mumbai ha rappresentato sicuramente una svolta positiva soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dei movimenti sociali del Sud del mondo. Tutto ciò non ha potuto ovviamente nascondere la quantità di problemi legati alla prospettiva del movimento, all’impellente bisogno di darsi una dimensione progettuale e alla sua capacità di incidere realmente nelle contraddizioni aperte dai processi di globalizzazione.

Se infatti le prime due sessioni di P. Alegre avevano messo in luce una pluralità di movimenti che analizzavano i processi e si interrogavano sulle cause che stavano producendo una ristrutturazione socio-economica su scala mondiale, l’ultimo Forum brasiliano aveva di fatto segnato una impasse: la presa d’atto dell’impotenza ad incidere, a portare a casa risultati concreti dalle mobilitazioni e dalle rivendicazioni di trasformazione. Appena un anticipo di quel violento senso di frustrazione che avrebbe segnato il movimento mondiale dopo le imponenti quanto sterili mobilitazioni planetarie contro la guerra.

Mumbai ha permesso l’entrata in scena di un movimento numeroso di donne e uomini, fino ad oggi “invisibili”, che reclamano il diritto a esistere, ad avere una vita dignitosa, in un paese talmente povero dove non si riesce a distinguere gli esseri umani dai rifiuti.

Una delle presenze maggiormente significative al WSF è stata sicuramente quella dei “Dalit”, un nome che in India identifica l’enorme massa dei “senza casta” (oltre 200 milioni, nonostante le caste siano state abolite per legge già da 40 anni), ovvero individui privati per nascita di ogni diritto, persino quello di venire considerati esseri umani!

Rivendicano diritti quali l’istruzione, la salute, la terra, l’acqua, a loro storicamente preclusi e che, essendo sotto attacco in ogni parte del mondo, su cui hanno costruito un terreno di lotta comune.

Tuttavia una massa così potenzialmente “rivoluzionaria” ci è apparsa frammentata in centinaia di sigle e di tipologie associative molto differenti tra loro: dall’associazione culturale, all’ONG , al gruppo religioso.

Da sottolineare però che nella realtà indiana sono scelte spesso dettate dal bisogno di opporre immediata resistenza a dogmi religiosi e culturali vecchi di migliaia di anni.

Ad esempio la scelta di aderire a una fede religiosa è spesso motivata da un rifiuto dell’ordine costituito. I Dalit sono ogni anno vittime di migliaia di atrocità, da violenze sessuali a omicidi, delitti impuniti apertamente tollerati dalle autorità indiane che considerano i Dalit cittadini senza diritti. Nonostante ciò si sono oltre cento Dalit eletti in Parlamento.

Ad ogni modo va rilevato che i Dalit non si sottraggono al culto della personalità, così radicato nella mentalità di gran parte dell’Asia. Un’icona Dalit per eccellenza è il “senza casta” Babasaheb Ambedkar, uno dei padri dell’India indipendente.

L’entrata in scena di questi movimenti, per certi versi, è avvenuto a discapito di quei movimenti “già organizzati” che non sono riusciti ad integrare nella rete di confronti, dibattiti e proposte l’esplosione delle nuove forme di identità, mettendo per contro in luce una ingessatura sia dei modelli organizzativi che delle proposte.

Forum generali/tematici

Sono in molti, anche all’interno della delegazione italiana, che continuano a chiedersi se esiste una crisi vera dei Forum Sociali Mondiali, se questo modello ha definitivamente fatto il suo tempo, se è giusto sostituire a questo modello solo quelli tematici perché solo da una analisi approfondita settore per settore può, a giudizio di alcuni, scaturire la linfa per l’attività dei Forum. In realtà se il Forum di Mumbai fosse stato solo un Forum tematico si sarebbe sicuramente trasformato in un gigantesco fallimento visto che l’esplosione dei movimenti, di tanti piccoli e infiniti rivoli si è avuta fuori dai baricentri della discussione organizzata, nei viali, nella rappresentazione spontanea di cento idee.

Quello che invece è sembrato mancare ancora una volta è stata la riflessione sulle strategie, il comprendere che aldilà del bisogno di comparire sulla scena della politica c’è una necessità di rendere esigibile il peso e la radicalità dei movimenti che oggi manifestano.

Per dirla in modo diverso, come farà il movimento dei Dalit - che è stata un po’ l’immagine di questo Forum - piuttosto che quello delle prostitute o dei poverissimi contadini indiani a contare dopo questa breve apparizione sul teatrino dei media, in un paese dove il protagonismo sociale è tutt’altro che semplice? Affidandosi ai nuovi/vecchi partiti politici della sinistra indiana come sembrava suggerire una qual certa conduzione delle plenarie?

Il Forum Mondiale della Salute: International Health Forum the Defence of People’s Health

Non era scontato il successo - sia di carattere organizzativo che di partecipazione - di un Forum tematico come quello sulla salute, organizzato dal People’s Health Movement (PHM) a Mumbai nei giorni che hanno preceduto il Forum Sociale Mondiale. Una organizzazione nella quale hanno un peso fortissimo le ONG e che fino ad oggi ha risentito di questo elemento sia nella sua connotazione che nel modo di concepire lo sviluppo di un movimento di lotta per la salute.

Significativo quindi che l’introduzione politica del Forum sia stata affidata questa volta a W. Bello, che ovviamente non ha esitato a inscrivere il movimento di lotta per la salute in un processo più ampio di lotta per la liberazione dei popoli dal dominio imperialista e dalla guerra. Bellissimo il paragone tra l’atterraggio di G. Bush sulla portaerei americana Abraham Lincoln il 1 maggio dell’anno scorso per annunciare in una scenografia da combattimento la fine della guerra in Iraq e quello di Hitler nel film “Il Trionfo della Volontà” di Leni Riefenstahl che si apre per l’appunto con il Führer che arriva in aereo al raduno nazista a Norimberga nel 1934.

Va rilevato che oltre all’intervento di W. Bello anche l’intervento di apertura fatto da Amit Sengupta del PHM (che faceva parte anche del Comitato organizzatore indiano del FSM) ha spiegato la necessità e l’importanza di rivolgere l’attenzione all’attività dei movimenti sociali, lavorare con loro provare a costruire un forte movimento di massa sul diritto alla salute.

Oltre 700 delegati hanno discusso e si sono confrontati per oltre 2 giorni su una quantità di tematiche di estremo interesse: dal significato stesso che oggi si può dare al concetto di salute, alla lotta quotidiana per fare in modo che questo diritto non venga snaturato o addirittura cancellato dalle politiche neoliberiste, dalla puntuale denuncia di come questo diritto viene negato alla ricerca dello strumento più efficace per difenderlo.

Per quanto riguarda i movimenti che su scala mondiale lottano per il diritto alla salute sono risultati di particolare interesse alcuni aspetti:

  • il ruolo rivestito dai processi di privatizzazione nelle economie di scala della globalizzazione come strumento di negazione del diritto alla salute
  • la centralità del ruolo di un Servizio Sanitario Nazionale pubblico nell’accesso alle cure e alle prestazioni come strumento indispensabile per garantire il diritto alla salute

Sul primo di questi aspetti ha avuto particolari rilievo il confronto fra le tre reti che in diversi continenti stanno sostenendo i movimenti di lotta per la salute: quella latino americana di ALAMES (Associazione Latino Americana di Medicina Sociale), quella più imponente del PHM (presente soprattutto in Asia e in Africa ma anche con importanti ramificazioni in America Latina) e l’esperienza recente della rete europea a cui partecipa tra gli altri anche la Confederazione COBAS.

Un confronto che ha evidenziato i tratti comuni dei processi di privatizzazione, tutti perfettamente riconducibili all’assalto che le multinazionali stanno portando al mercato della salute in perfetta sinergia con le politiche del WTO, l’accordo sui GATS e sui TRIPS in materia di commercializzazione dei servizi.

Politiche devastanti da un punto di vista dei diritti in particolare nei paesi più poveri privi delle risorse e delle strutture necessarie a garantire il fabbisogno di cure.

La denuncia sulle politiche del WTO è stata puntuale soprattutto in materia di farmaci e di brevetti, evidenziando come la politica criminale delle multinazionali continui a minare quotidianamente il diritto alla vita per milioni di persone ostacolando con ogni mezzo il diritto dei paesi poveri a produrre - direttamente e a basso costo - i farmaci antiretrovirali necessari a combattere il dilagare di flagelli come l’AIDS, ma anche di molti farmaci essenziali comuni, il cui costo proibitivo (rapportato alla povertà) impedisce alle popolazioni di sopravvivere a malattie abbondantemente cancellate nei nostri ricchi paesi occidentali.

D’altronde parlare di diritto alla prevenzione e alle cure in paesi che non hanno le risorse neanche per garantire la sopravvivenza alimentare, suona come cosa beffarda.

Sul versante dei processi di privatizzazione è risultato invece esemplare constatare come la globalizzazione abbai prodotto devastazioni del medesimo segno dal nord al sud del mondo seppure con una differente amplificazione nei paesi più poveri.

La distruzione – grazie alle cure pelose del FMI – dei Servizi Sanitari sopravvissuti fino a qualche tempo in diversi paesi africani – per retaggio di influenze coloniali o appartenenti a governi affratellati con la vecchia URSS – ha determinato ad esempio un trend impressionante nella diffusione di epidemie e contagi.

Mai come in questo confronto è stato chiaro come non si possa scindere il diritto alla salute dal modello economico-sociale con cui si governano gli Stati, dalla possibilità di realizzare o meno una distribuzione equa delle risorse a tutte le classi sociali.

E’ evidente come fame e povertà sono il prodotto di una redistribuzione inaccettabile delle risorse, visto che appena il 5% della popolazione mondiale gestisce l’85% delle ricchezze, ovvero che il 95% dell’umanità ha a disposizione appena il 15% di questi disponibilità.

E’ evidente che in presenza di questo forte squilibrio qualsiasi riferimento a programmi di prevenzione, cura, riabilitazione rappresentano dei sofismi, puro esercizio meditativo per scienziati destinati a crollare davanti ad una realtà impietosa e generalizzata ben più di quanto siamo disponibili a credere.

Da questo Forum è comunque scaturita la proposta di arrivare a costruire il primo Forum Mondiale per il diritto alla Salute che dovrebbe tenersi a P. Alegre nei 4 giorni precedenti il Forum Sociale Mondiale 2005 (presumibilmente intorno al 20 gennaio) seguito da un’assemblea mondiale sulla salute dei popoli che dovrebbe svolgersi nel 2005 in Ecuador.

Al Forum Mondiale della Salute è stato quindi assegnato il compito di analizzare e confrontare la risposta data al fabbisogno di salute delle popolazioni, ma soprattutto di capire con quali modelli si può effettivamente garantire che questo diritto non venga soppresso.

Un momento essenziale quindi per ragionare sulle strategie da adottare nella lotta contro le privatizzazioni, ma anche un ragionamento sulla possibilità di esportare modelli positivi.

Quello che si propone non è quindi un confronto solo far reti omogenee ma un dibattito far quanti hanno un comune denominatore nel riconoscimento della universalità del diritto alla salute, considerato come un bene inalienabile di tutti senza distinzioni.

Un confronto che può essere utile a comprendere se la risposta che il Brasile propone – la realizzazione di un SSN unico – è davvero in grado rispondere al fabbisogno di salute, in un momento in cui Lula appare in forte difficoltà a mantenere quelle promesse elettorale che hanno fatto sperare il popolo degli oppressi, o se i tentacoli soffocanti del FMI e del debito esterno hanno già tolto respiro ad una riforma che al pari di quella agraria si annunciava determinante per le sorti della annunciata trasformazione sociale.

Un impegno forte e oneroso per la Rete Europea e per il COBAS in particolare chiamati a contribuire all’organizzazione di questo evento, al quale è doveroso dirlo non potevamo sottrarci, visto che i tempi di questo confronto da sempre auspicato sono maturi e rappresentano lo sbocco naturale del lavoro delle reti, che non possono più accettare la dimensione parcellizzata e frammentata delle risposte.

Più che mai la sfida rimane quella dei contenuti e della capacità di far vivere reti che pur agendo sia a livello locale mantengono la necessità di pensare globalmente.

Le assemblee contro la guerra

La guerra ha rappresentato sicuramente il tema centrale di questo Forum, soprattutto per l’importanza di poter ascoltare la voce di chi la guerra la sta subendo direttamente sulla propria pelle. La voce degli Iracheni e dei Palestinesi testimoni di un massacro infinito e del ricatto di una occupazione militare, nata con la pretesa di esportare democrazia verso le popolazioni arabe, ma che in realtà nasconde la necessità inderogabile di controllare le risorge energetiche presenti in tutte quelle regioni ai fini di una logica di dominio universale.

Le plenarie sulla guerra sono state molto partecipate, anche se molte volte temi simili o comunque non separabili erano discussi in contemporanea.

Gli interventi e le valutazioni politiche erano, come spesso accade nei Forum Mondiali molto radicali nei contenuti, salvo poi scoprire che ad annacquare questi contenuti provvedevano gli uomini di casa nostra, come è accaduto con il documento prodotto dall’assemblea dei movimenti sociali.

A margine delle grandi plenarie si sono svolte una infinità di assemblee incentrate su aspetti specifici legati al tema della guerra: la mobilitazione del movimento delle donne contro questa immane tragedia, le iniziative di lotta dei movimenti mondiali. E ancora le assemblee organizzate dalle singole coalizioni antiguerra, dove ha brillato per presenzialismo Globalise Resistance e l’armata vociante di Stop the War, che hanno dato vita al maggior numero di seminari e ad una distribuzione capillare di cartelli, che hanno trasformato la manifestazione conclusiva in una manifestazione all’apparenza targata SWP (Socialist Worker Party). Di fatto questa mobilitazione è stata pagante in termini di visibilità per questa aggregazione visto che proprio C. Newman è stato chiamato a fare nell’atto conclusivo l’intervento sulla mobilitazione contro la guerra con l’annuncio della mobilitazione del 20 marzo prossimo.

Le assemblee tematiche sulla guerra sono state numericamente molto meno partecipate, sia in termini numerici che come delegazioni, e complessivamente sono risultate molto più sterili da un punto di vista dell’analisi e della riflessione. Negli interventi c’è stato un lungo raccontarsi, la rincorsa a dire quanto si era stati baravi nelle mobilitazioni, ma quanto a proposte sul che fare davanti all’insensibilità dei governi che dimostrano la loro totale indifferenza alle mobilitazioni di massa, c’era soltanto aria fritta.

Tutti d’accordo a parole sulla mobilitazione del 20 marzo, ma con lo sguardo – gli europei in particolare – rivolto a casa loro, all’enorme difficoltà di far digerire parole d’ordine come “ritiro immediato delle truppe dall’Iraq” che impediscono a questa manifestazione di decollare senza ambiguità.

E non minori continuano ad essere le ambiguità circa il ruolo di “garante” che dovrebbe assumere, dopo il ritiro degli invasori, una istituzione come l’ONU, sulla cui trasformazione – nel senso di reale indipendenza dalle mire imperiali degli USA – continuano a credere solo coloro che, per esempio, nel nostro paese si preparano a giustificare il voto a favore – o l’astensione – sulla prosecuzione della missione di guerra in Iraq. Costoro hanno una grande difficoltà a prendere atto che la tanto menzionata resistenza irachena non si limita solo a dire che vuole il paese libero senza alcun protettorato, o a fare manifestazioni di protesta verbale, ma che legittima la sua azione attaccando le truppe militari di occupazione anche sul terreno militare. Proprio come ogni guerra di resistenza.

Non ci sembra il caso di scomodare la gettonatissima Arundhaty Roy – lo fanno già in molti e spesso per sostanziare tesi contrapposte – ma ci pare appena il caso di sottolineare che, all’apertura del Forum, questa grande scrittrice ci ha ricordato che siamo e dobbiamo essere noi la resistenza irachena all’invasione militare anglo-americana. Ma non è stata l’unica a farlo, a partire da chi ha voluto con la sua presenza (l’ex partigiana Shabana Azmi) ha voluto testimoniare il nesso con le lotte – non solo di stampo ghandiano - che in India sono state fatte contro la dominazione inglese. Un richiamo semplice ad una logica che ci appare elementare: non si può chiedere a nessun popolo di rinunciare – in nome delle nostre regole – al diritto a ribellarsi con ogni mezzo possibile. Una pretesa contraria più che ad archiviare supposte categorie appartenenti al ‘900, ci sembra che manchi di elementare buon senso.

Ovviamente i movimenti sociali a netta predominanza europea hanno avuto la pretesa di registrare il tutto con un generico e ambiguo “lottiamo contro ogni forma di terrorismo”, utile forse nelle polemichette di casa propria ma distante anni luce dalla testa di chi, schiacciato dal dramma di una guerra che subisce e che non ha voluto, non considera di certo terrorista l’iracheno che lotta contro l’invasione degli Stati Uniti e dei loro alleati o il palestinese che lotta per non essere segregato dal muro di Sharon.

Fra le iniziative di mobilitazione quella di maggior peso è stata sicuramente la proposta di una giornata mondiale contro le basi in cui cingere d’assedio tutti i luoghi dove sono collocate queste centrali che esportano morte.

Sono state proposte alcune date, ma non se n’è ancora trovata una unitaria rimandando la decisione ad una prossima riunione mondiale. Per quanto attiene il movimento italiano, come Confederazione COBAS abbiamo avanzato la proposta di una manifestazione nazionale davanti alla base di Camp Darby, in considerazione del ruolo strategico che questa base svolge nell’apparato militare americano ed europeo.

Il rischio è collegato invece ai tempi di indizione di questa manifestazione che secondo alcuni dovrebbe svolgersi in periodi estivi. Abbiamo fatto comunque presente che se la data dovesse coincidere con l’estate piena, almeno in Italia, la manifestazione può diventare un flop. Stando così le cose ci sembra anche improbabile che si riesca a propagandare questa mobilitazione in occasione del 20 marzo, mentre sarebbe stato utile farlo come prosecuzione e sbocco naturale di una più ampia mobilitazione.

I movimenti sociali

Le assemblee dei movimenti sociali hanno rappresentato la nota più stonata in assoluto di questo forum, sia per la carenza di idee già accennate che per le modalità con cui si sono svolte – poca gente e spesso mentre in contemporanea c’erano eventi molto importanti. Sulle modalità poi con cui i gruppi di lavoro hanno prodotto il documento ci sarebbero da scrivere dei tomi, ma ci si può agevolmente limitare a prendere atto di come questa costola dei Forum senta minata la sua capacità a rappresentare movimenti sociali veri, in grado di produrre lotte e conflitti. E questo per contro ha fatto emergere la sfiducia del ceto politico che sulle sorti di questi movimenti vorrebbe costruire le proprie fortune.

Il documento dei movimenti sociali è stato da noi criticato in assemblea per le prese di posizione ambigue sulla categoria del terrorismo, ma ciò che è stato ancora più ridicolo è stata l’ottusità di impedire ad una piccola assemblea di modificare un documento che nessuno fino a quel momento aveva letto, frutto di una intesa di corridoio all’interno dei gruppi di lavoro. Neanche a dirlo in questo misto di arroganza, cialtroneria e provincialismo hanno brillato proprio gli italiani, che per non essere secondi a nessuno si sono appropriati della presidenza con ben 2 italiani, che sono riusciti a farsi “apprezzare” per una conoscenza delle lingue degna del miglior Totò.

Aldilà di questo doveroso veleno su una tendenza sempre più evidente a burocratizzare quello che avrebbe dovuto qualificarsi per l’esatto contrario, ci pare indiscutibile la crisi che stanno attraversando i cosiddetti movimenti sociali, la cui direzione non a caso è sempre più saldamente in mano agli europei.

E’ difficile parlare di movimenti sociali, di estensione delle reti quando queste sono avulse da un contesto di lotte. Ed è ancora più difficile farlo quando questo dovrebbe rappresentare il modello sociale alternativo rispetto alla dimensione tutta politica di rappresentazione dei Forum Sociali Mondiali, piuttosto che delle alchimie politiche elaborate nei Consigli Mondiali.

Quali sono i correttivi a questa situazione di stallo? Sulla sostituzione con i Forum tematici abbiamo già detto. Qualcun altro ha avnzato l’ipotesi di diradare gli eventi mondiali dando più spazio ai Forum regionali. Altri parlano della necessità di coordinare più stabilmente le reti e di riuscire ad elaborare una strategia.

La domanda che pochi si fanno è se forze così disomogenee possono veramente elaborare una strategia comune, abituati come siamo a guardarci con sospetto – e non per caso – e spesso divisi sulla valutazione delle prospettive.

Non giova di sicuro il clima politico che si respira, l’ansia di molti di ricondurre tutto ad una manovra elettorale.

Forum Paralleli: Mumbai Resistance 2004

Alcuni partiti comunisti indiani, in particolare CPI (ML) Red Flag e CPI (ML), non potendo, in base alla carta di Porto Alegre, partecipare ufficialmente al Forum, si sono incontrati in una due giorni a Mumbai prima dell’inizio del WSF.

Va rilevato comunque il peso che questi partiti hanno avuto già nella fase organizzativa del Forum oltre al fatto che molti di loro vi hanno partecipato a carattere individuale.

Nel continente indiano, nonostante un governo di destra - una coalizione guidata dal BJP, partito apertamente nazionalista e fondamentalista hindu - esistono numerosi partiti comunisti, e alcuni di questi sono al governo in singoli stati, come il (CPI (M) in West Bengala, Tripura e Kerala. Da qui nasce un’ovvia contraddizione tra gli obiettivi dichiarati e l’effettiva collusione con gli attori delle politiche neoliberiste, per esempio sul terreno dell’agricoltura, vedi il caso del CPI (M) che in West Bengala si accorda con le multinazionale del settore.

Non a caso proprio il ruolo svolto da questi partiti nella costruzione del WSF, insieme alla forte presenza di ONG, all’annosa questione dei finanziamenti e al divieto per gruppi che praticano unicamente la lotta armata, era tra gli argomenti centrali della critica mossa al WSF da Mumbai Resistance 2004 (MR2004). Questo forum alternativo, svoltosi in concomitanza col WSF in un’area limitrofa, era stato promosso nel giugno del 2003 dall’ILPS (International League of Peoples’ Struggles) al Thessaloniki Resistance per coordinare e rafforzare il movimento “anti-imperialista”. Ad ogni modo abbiamo verificato come anche qui la presenza dei partiti (in questo caso maoisti), fosse sensibile e come la questione dei finanziamenti fosse pretestuosa in quanto pare che il WSF si sia sostenuto (con un grosso buco in bilancio) unicamente con le iscrizioni. In realtà la netta contrapposizione si smussava attraverso la contemporanea partecipazione di molte realtà a entrambi i Forum, sia nei seminari che nei partecipatissimi cortei interni che caratterizzavano la quotidianità del WSF.

Da rilevare la massiccia presenza del mondo agricolo, tra cui i noti contadini del Karnataka, e dei movimenti di autodeterminazione delle donne.

Per l’ultima giornata (il 20 gennaio) MR2004 aveva in programma una manifestazione che doveva arrivare al consolato americano di Mumbai. Il divieto da parte delle autorità ha trasformato l’evento conclusivo in un raduno in uno dei parchi cittadini con migliaia di persone presenti.

Conclusioni

Il senso di questo Forum si può sicuramente riassumere nella grande partecipazione di movimenti nuovi, portatori di una domanda di trasformazione che non ammette risposte ambigue o retoriche. E’ il diritto primario a esistere, a sfuggire alla morsa della fame e delle epidemie. La fame non è un prodotto occasionale dell’esistenza, ma l’effetto devastante dello squilibrio che a livello planetario determina la morte e la vita.

In molti parliamo a sproposito della svolta di Mumbai: questa avrà modo di darsi solo nella misura in cui quella domanda pressante sarà accolta da altri movimenti sociali che sapranno darsi gli strumenti concreti per incidere.

La nostra lotta contro la guerra per esempio potrà dirsi vinta solo se le truppe di occupazione saranno costrette a lasciare l’Iraq dalla pressione delle lotte dei movimenti contro la guerra. A partire dal 20 marzo proprio come in Vietnam. Questa immagine ci è cara perché rappresenta l’emblema di quello che tutti i popoli del mondo si aspettano: la possibilità di battere un nemico molto più forte, che vuole rubarti tutte le risorse, colonizzati e sfruttati.

Per la Commissione Internazionale

della Confederazione COBAS

Nicola DELUSSU, Ilaria FARAONI, Eleonora NUCCIARELLI, Bruno PALLADINI

15 febbraio 2004

PER UNA SOCIETA' DEI BENI COMUNI

Una giornata di dibattito sul libro di Piero Bernocchi
OLTRE IL CAPITALISMO
Discutendo di benicomunismo, per un’altra società.

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