In ricordo di Marco Bartoli
Marco Bartoli, 47 anni, appartenente a quella classe operaia "rude e pagana" che ha tentato l'assalto al cielo, ci ha lasciato rientrando a casa dalla Thyssen Krupp, ammazzato da un infarto.
Marco aveva costituito insieme a Roberto ed altri il Cobas dell'acciaieria Thyssen Krupp.
"Parole d'acciaio" è stato il bollettino di lotta che discutevamo e abbiamo scritto e diffuso insieme.
Ricordo il suo intervento a piazza San Giovanni all'ultimo sciopero generale unitario del sindacalismo di base.
Amante della montagna, di quel posto liminare sulla Valnerina che è la dogana di Salto del cieco, mille metri sopra Ferentillo, sotto il monte Aspra: il suo rifugio era la ex dogana tra lo stato pontificio ed i Borboni, una locanda gestita da tempi antichi dalla sua famiglia. Una locanda in cui dopo il settembre '43 si riunì la brigata partigiana Garibaldi che costruì in Valnerina una zona di lotta armata contro fascisti e nazisti. Ne eri fiero, quasi testimone indiretto.
Quelle tre radici: operaia ribelle, contadina/montagnarda aspra e generosa ed antifascista radicale ed intransigente, Marco le ha intrecciate e riunite con coerenza, nelle lotte che ha fatto sul territorio ed in fabbrica.
Alla Thyssen è stato tra i protagonisti del primo ciclo delle lotte 'autorganizzate' agli inizi del '2000 e poi tre anni fa a fine 2014, quando ha partecipato attivamente ai 44 giorni di sciopero, anche se in maniera critica -prefigurando la sconfitta operaia e la mediazione dei sindacati concertativi.
Ricordo la telefonata in cui ci invitava a venire alla palazzina dirigenziale dove era stata sequestrata dagli operai scesi spontanemente in lotta l'AD della TK, quella Morselli che sarebbe stata "liberata" dalla polizia sotto una granucola di sassi solo alle 5 e 30 della mattina, prima del cambio turno.
Ricordo le riflessioni private e gli interventi pubblici, pacati nel tono ma radicali, che rivendicavano sempre soggettività, critica e quel ribellismo che ti era congenito.
Ricordo i volantinaggi alle 5 di mattina, le tante firme raccolte e la rabbia per la sconfitta alle elezioni RSU contro la burocrazia sindacale dei compromessi e delle prebende.
L'antifascismo carsico che era riaffiorato durante i tentativi dei neofascisti di mettere il muso nella concaternana, durante la manifestazione all'aviosuperficie, oppure per monitorare i tentativi di infiltrarsi in Valnerina, oppure nella bandiera rossa che con altri facesti sventolare il primo maggio sulla torre di Macenano.
Oggi affiora dai ricordi anche il tuo sorriso sornione, d'intesa, durante gli scontri di piazza a Roma, di nuovo a Piazza San Giovanni, qualche anno fa, o la rabbiosa marcia notturna alla casa del capo del personale TK, quando sembravano vicine le centinaia di lettere di licenziamento.
Il tuo non piegarti a compromessi, non accettare di svenderti per qualche moneta, preferendo sempre la coerenza e la difficile solidarietà tra compagni di lavoro. Il non accettare tessere che ti avrebbero garantito passaggi di livello e le ultime discussioni in cui mi dicevi che preferivi rimanere "operaiaccio" che non essere assorbito nelle gerarchie di fabbrica per sfruttare i tuoi compagni per qualche fiorino in più.
Il tuo non obbedire ai superiori, il tuo rivendicare inflessibilmente diritti e sicurezza nel posto di lavoro. Il tuo sentire e vivere materialmente e naturalmente la solidarietà di classe, espressa senza retorica ma con presenza ed attenzione costante ed attenta, come per il licenziamento di Paolo da parte della Coop.
Ed anche sul territorio, contro il nucleare prima, contro la privatizzazione dell'acqua pubblica poi ed infine contro un acquedotto nefasto ed inutile che devasta la tua valle, nelle manifestazioni, negli incontri, nei dibattiti che hanno visto la tua presenza tra chi rivendica la difesa della Valnerina contro la speculazione e le devastazioni da parte delle lobbyes politico-economiche che si spartiscono il territorio.
Come potevi ti rifugiavi in montagna, da vero metalmezzadro dell'Appennino, dove gestivi il tuo tempo tra rimossi ricordi paterni e la cura, la precisione e l'amore che avevi per le tue passioni. Ultima la coltivazione dello zafferano, nonostante l'altitudine ed i cinghiali. Sulla montagna che muore mi avevi raccontato che Pietro -l'eremita che viveva vicino al Salto del Cieco- dopo oltre 20 anni aveva abbandonato la montagna, e me lo avevi raccontato come se ti avesse lasciato più solo, lassù in alto.
Quelle serate, quelle cene davanti al camino, tra tartufo e grigliate a parlare di presente, di futuri possibili, mentre il vino rosso e tosto scendeva bicchiere dopo bicchiere.
Solo non sei mai stato, grazie a tua moglie Sabrina e a tua figlia Iris, non lo sei mai stato per i tanti amici e compagni che hai legato a te con la tua esistenza non banale, mai vuota, sempre alla ricerca, sempre spinto da una profonda voglia di sapere, di conoscere, di costruire mondi e relazioni altre...
Ciao Marco, continui a esserci nelle nostre lotte, nei nostri brindisi...
Franco Coppoli