LA “CULTURA” DI GUERRA PERVADE LA SOCIETÀ E LA SCUOLA
di Giovanni Bruno
Dal 2001, il ripristino della festività del 2 giugno da parte dell'allora Presidente Ciampi è stata accompagnato dalla celebrazione delle Forze Armate come istituzione fondamentale a garanzia dell’unità nazionale, diventando il grimaldello per una torsione costituzionale e per un costante elogio dei Militari, evocati con grande retorica il 4 novembre o in altre ricorrenze della Seconda Guerra Mondiale, decontestualizzate rispetto all’ignobile alleanza nazi-fascista.
Nel decennio precedente, dopo l’implosione dell’URSS del dicembre 1991, il movimento contro la guerra si era battuto contro le missioni militari in varie aree geopolitiche, dal Medio Oriente ai Balcani, promosse dagli USA sulla base di mandati ONU (Operazioni di Polizia Internazionale o dipeace-keeping) o avvalendosi della NATO. Per giustificare la partecipazione delle nostre truppe fuori dai confini nazionali, si accese una discussione politico-costituzionale per l’interpretazione dell’articolo 11: chi, come noi, continua a porre l’accento sulla prima parte (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”), sottolinea che la partecipazione a missioni militari all’estero non è consentita dalla Costituzione; chi insiste sulla seconda parte (“consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”) obietta che in determinate circostanze, promosse da organismi internazionali di cui l’Italia fa parte, non vi sarebbero restrizioni costituzionali. In pochi anni, la seconda interpretazione ha preso il sopravvento: e lo spirito della Costituzione ha subito una trasfigurazione, con lo spostamento del baricentro sulla seconda parte dell’articolo 11, mistificando le intenzioni dei/delle Costituenti.
Negli ultimi vent’anni le spese militari sono aumentate esponenzialmente, a discapito delle spese sociali, nel mondo occidentale (le dieci maggiori fabbriche di armi sono nell’area euro-atlantica tra USA, UK, UE, Italia compresa), ma negli ultimi anni anche in altre aree del mondo c’è stato un incremento significativo del riarmo, soprattutto nella Federazione Russa e nella Repubblica Popolare Cinese. Anche le espressioni per mimetizzare lo spirito bellicista non sono una prerogativa solo italiana o dell’Occidente: il ricorso alla guerra per la risoluzione delle controversie internazionali è avvenuto ripetutamente in Europa, nei Balcani da parte dei Paesi occidentali, e da parte della Federazione Russa nelle Repubbliche ex-sovietiche, Cecenia, Georgia e adesso Ucraina: l’utilizzo dell’eufemismo “Operazione Speciale” da parte di Putin è il segno di come il ricorso alla guerra venga propagandisticamente mascherato e giustificato sul piano del diritto internazionale, in quest’ultimo caso anche con riferimento al fallimento degli accordi Minsk I e II (per corresponsabilità sia russa che ucraina). Infatti, la pervasività dell’ideologia bellicista è evidente anche nella propaganda della potenza imperiale russa, emersa violentemente con l’occupazione delle regioni orientali ucraine, che non può essere giustificata dalla legittima preoccupazione per l’espansione economico-commerciale dell’UE, corredata dalla contestuale espansione militarista e imperialista NATO verso l’Est Europa.
In questi anni, anche in Italia le operazioni militari all’estero sono state accompagnate da una manipolazione del senso comune, accentuatasi da quando la funzione difensiva dell’esercito ha lasciato il campo alla professionalizzazione delle Forze Armate con la legge 226/2004, con cui dal 1° gennaio 2005 è sospeso il servizio di leva. La comprensibile accoglienza positiva di tale legge da parte della maggioranza dei giovani ha avuto un contrappasso, con la pervasiva diffusione di una ideologia bellicista nella società, con l’istituzionalizzazione di ricorrenze in cui si rievocano le gesta delle Forze Armate, spesso in contesti da biasimare piuttosto che da encomiare (due esempi per tutti: le battaglie di El Alamein tra il 26 ottobre e il 5 novembre del 1942 e di Nicolajewka in Russia il 26 gennaio 1943, quando l’Italia fascista era alleata della Germania nazista), ma dimenticando altri episodi veramente eroici, come la resistenza della Divisione Aqui contro i tedeschi a Cefalonia, tra il 23 e il 28 settembre 1943, a seguito della divulgazione, l’8 settembre, dell’armistizio con gli anglo-americani.
Questa pervasività dell’ideologia di guerra non sta risparmiando le scuole e il sistema educativo: sono proliferate negli anni iniziative di coinvolgimento delle scolaresche a numerose iniziative in cui le Forze Armate sono state promosse ad agenzia formativa ed educativa, con il compito di promuovere i principi costituzionali di pace e solidarietà. È straniante che venga affidata alle Forze Armate la formazione sui principi costituzionali rivolti a fasce di studenti che vanno dai 3 anni ai 18, anche considerando che nei corpi militari sono spesso tollerati, quando non incoraggiati, bullismo e comportamenti prevaricatori, e in certi casi “nostalgie” per il fascismo. Possiamo infatti registrare, a macchia di leopardo ma in crescita, la proliferazione di iniziative rivolte alle scolaresche, con visite alle caserme ed esposizione di nuovi mezzi da combattimento (tra cui F-35 ed Eurofighter): ad esempio, dal 24 al 29 marzo in Piazza del Popolo a Roma, per il centenario dell’Aeronautica Militare, si tiene la mostra Air Force Experience, rivolta alla cittadinanza, ma soprattutto ai giovani delle scuole; il 27 aprile a Pisa la “Giornata della Solidarietà” ricorda Nicola Ciardelli (Capitano dell’Esercito durante l’occupazione internazionale dell’Iraq con l’ ”Operazione Antica Babilonia”, morto nell’attentato di Nassiriya del 2006) con iniziative che coinvolgono Università e scuole, fino alla gran festa conclusiva del lancio dei paracadutisti, reparto operativo nei più lontani teatri di guerra, in cui le scolaresche partecipano a progetti e incontri anche in caserme operative.
Si diffondono sempre di più le presentazioni nelle scuole per l’orientamento ai percorsi post-scolastici da parte di Forze Armate, al pari delle Università statali e (purtroppo) private; a questo si aggiunga che da parte delle scuole vengono stipulate convenzioni con corpi militari per lo svolgimento delle attività di PCTO, con progetti che prevedono la presenza di studenti nelle caserme, come nella Regione Sicilia in cui a dicembre 2021 è stato firmato un Protocollo d’Intesa tra il Comando Militare dell’Esercito e l’Ufficio Scolastico Regionale per attività di orientamento in caserme dell’Esercito; o infine forme surrettizie di propaganda, come la diffusione e promozione della cosiddetta Ginnastica Dinamica Militare, svolta nelle palestre scolastiche di alcune regioni.
Emerge un progetto teso a promuovere la vita e la carriera militare come un’opzione professionale da incentivare ed equiparare a qualunque altra, esaltando lo spirito e l’orgoglio militarista: in questo modo, si diffonde e si rafforza l’ideologia della guerra come strumento necessario per mantenere gli equilibri internazionali, mentre si contribuisce a stravolgere il dettato costituzionale che “ripudia la guerra” come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.