ROMA CAPITALE...IN AFFITTO
Roma Capitale gode di un considerevole patrimonio immobiliare composto da 59.422 beni di proprietà.
Tra questi beni vi rientrano strade, risorse archeologiche e monumentali, ville e parchi, cimiteri, mercati,
edifici scolastici e così via; vi sono anche 43.053 beni di edilizia residenziale (di cui 42.455 sono destinati
ad alloggi popolari), 1.789 edifici per usi vari e 598 beni ad uso non residenziale. Da questo ingente
patrimonio, ovviamente al netto dell’edilizia popolare o dei beni culturali (per i quali varrebbe un
ragionamento a parte), il Comune di Roma riesce a trarre entrate piuttosto scarse a causa della cronica
difficoltà ad esigere e riscuotere canoni dai locatari.
D’altra parte, però, l’Amministrazione ha bisogno di molti spazi per ospitare i propri uffici e, non
potendo o volendo sfruttare pienamente il proprio patrimonio, si rivolge a grandi società immobiliari
per avere in uso un’altrettanto considerevole quantità di stabili in locazione. Mettendo dunque a
confronto le due voci – fitti attivi e fitti passivi – emerge un evidente squilibrio tra i 14 milioni riscossi
per gli affitti attivi e i 57,2 milioni di euro spesi per affittare da terzi immobili utilizzati per gli uffici
comunali e le sedi istituzionali.
Non riuscendo ad assicurare la rendita e l’impiego per scopi produttivi del proprio patrimonio,
l’Amministrazione Capitolina, stretta nelle maglie del patto di stabilità e del piano di rientro dal debito,
ha recentemente deciso di vendere le proprietà pubbliche e, parallelamente, ha concluso la procedura
relativa al faraonico progetto di ricollocazione delle sedi di Roma Capitale, attraverso l’aggiudicazione
definitiva alla Astaldi Spa di un “contratto di disponibilità” riguardante la messa a disposizione dei locali
per il c.d. Campidoglio 2, a fronte di un corrispettivo a favore del concessionario di € 516.345.381,10,
per un periodo complessivo di 25 anni.
Con una memoria di giunta del febbraio 2014, è stato inoltre stimolato l’avvio di un “Progetto di Ente”,
divenuto poi obiettivo della dirigenza, consistente nella riorganizzazione e razionalizzazione delle sedi
degli uffici dell’Amministrazione Capitolina. Tale obiettivo è stato tradotto nel proposito di dismettere
le sedi condotte in regime di affitto (passivo), procedendo preliminarmente ad una sorta di ricognizione
delle esigenze degli uffici in ordine alle tipologie e alla quantità di locali necessari ed effettivamente
disponibili. Fin qui tutto bene. I problemi sono sorti quando, agli obiettivi di riduzione della spesa,
sono state anteposte le esigenze di nuovi spazi avanzate da qualche assessore, cui si sono poi sommate
una serie di irrazionalità dettate dall’urgenza di raggiungere, in qualunque modo, il traguardo della
riorganizzazione degli uffici.
Le dismissioni dei fitti passivi si sono pertanto trasformate in una procedura burocratica piuttosto
contorta e opaca, per effetto della quale dall’iniziale esigenza di razionalizzazione si è arrivati, in assenza
di una strategia comunicativa efficace e del budget necessario per le costose operazioni di trasloco, a
programmare e ordinare convulsamente il trasferimento di varie sedi di uffici, trascurando l’obiettivo
principale della chiusura dei rapporti di locazione in regime di fitto passivo
Per fare degli esempi, è stato programmato il cambiamento di sede di una serie di uffici da uno stabile
in affitto all’altro (da Via delle Vergini a Largo Loria, da Largo Loria a Via Ostiense, da Viale Pasteur a
D’altra parte, però, l’Amministrazione ha bisogno di molti spazi per ospitare i propri uffici e, non
potendo o volendo sfruttare pienamente il proprio patrimonio, si rivolge a grandi società immobiliari
per avere in uso un’altrettanto considerevole quantità di stabili in locazione. Mettendo dunque a
confronto le due voci – fitti attivi e fitti passivi – emerge un evidente squilibrio tra i 14 milioni riscossi
per gli affitti attivi e i 57,2 milioni di euro spesi per affittare da terzi immobili utilizzati per gli uffici
comunali e le sedi istituzionali.
Non riuscendo ad assicurare la rendita e l’impiego per scopi produttivi del proprio patrimonio,
l’Amministrazione Capitolina, stretta nelle maglie del patto di stabilità e del piano di rientro dal debito,
ha recentemente deciso di vendere le proprietà pubbliche e, parallelamente, ha concluso la procedura
relativa al faraonico progetto di ricollocazione delle sedi di Roma Capitale, attraverso l’aggiudicazione
definitiva alla Astaldi Spa di un “contratto di disponibilità” riguardante la messa a disposizione dei locali
per il c.d. Campidoglio 2, a fronte di un corrispettivo a favore del concessionario di € 516.345.381,10,
per un periodo complessivo di 25 anni.
Con una memoria di giunta del febbraio 2014, è stato inoltre stimolato l’avvio di un “Progetto di Ente”,
divenuto poi obiettivo della dirigenza, consistente nella riorganizzazione e razionalizzazione delle sedi
degli uffici dell’Amministrazione Capitolina. Tale obiettivo è stato tradotto nel proposito di dismettere
le sedi condotte in regime di affitto (passivo), procedendo preliminarmente ad una sorta di ricognizione
delle esigenze degli uffici in ordine alle tipologie e alla quantità di locali necessari ed effettivamente
disponibili. Fin qui tutto bene. I problemi sono sorti quando, agli obiettivi di riduzione della spesa,
sono state anteposte le esigenze di nuovi spazi avanzate da qualche assessore, cui si sono poi sommate
una serie di irrazionalità dettate dall’urgenza di raggiungere, in qualunque modo, il traguardo della
riorganizzazione degli uffici.
Le dismissioni dei fitti passivi si sono pertanto trasformate in una procedura burocratica piuttosto
contorta e opaca, per effetto della quale dall’iniziale esigenza di razionalizzazione si è arrivati, in assenza
di una strategia comunicativa efficace e del budget necessario per le costose operazioni di trasloco, a
programmare e ordinare convulsamente il trasferimento di varie sedi di uffici, trascurando l’obiettivo
principale della chiusura dei rapporti di locazione in regime di fitto passivo
Per fare degli esempi, è stato programmato il cambiamento di sede di una serie di uffici da uno stabile
in affitto all’altro (da Via delle Vergini a Largo Loria, da Largo Loria a Via Ostiense, da Viale Pasteur a Piazza Kennedy, e così via), senza consultare formalmente le società proprietarie degli immobili (Eur
Spa, Fresia srl, Milano 90 srl, Valle Giulia srl…) per le eventuali operazioni di ristrutturazione e
adeguamento dei locali e non valutando la necessità di regolare preventivamente gli obblighi giuridici
derivanti dai contratti di locazione, alcuni dei quali risulterebbero disdetti o in regime di “rinnovo
tacito” o in scadenza.
Questa prima tappa del processo di razionalizzazione, a conti fatti, libererebbe una sola sede, quella di
Piazza di Siena, che, a dispetto di qualsiasi logica, non rappresenta un fitto passivo ma un immobile
rientrante nel patrimonio di Roma Capitale.
In definitiva, nonostante l’enorme patrimonio di cui dispone, Roma sembra essere ostaggio di
un’inerzia cronica figlia di un sistema stratificato di relazioni tra poteri, cui si acconcia una classe
dirigente approssimativa ed arrogante che finisce per tradurre, anche grazie al pretesto della misurabilità
della perfomance, qualsiasi buon proposito in obiettivi meramente quantitativi, cui evidentemente
agganciare la propria retribuzione accessoria (legata al risultato), cresciuta del 445% in dieci anni.
Insomma, tra la possibilità di recuperare il proprio patrimonio, anche riconvertendolo ad un uso
pubblico, e la scelta di continuare a dissipare le scarse risorse finanziarie a disposizione per alimentare
megaprogetti molto onerosi e forse irrealizzabili (Campidoglio 2) o costosi contratti a vantaggio di
grandi società immobiliari, Roma Capitale sembra essere ancora pericolosamente sbilanciata verso il
piano inclinato del debito.
Roma 11 giugno 2014